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14 del rinnovamento civile d’italia

Non ho da rimproverarmi di avere ingannato, tradito, danneggiato i privati od il pubblico, gli amici o i nemici; essendo sempre proceduto con ingenuitá e franchezza, e tenutomi lontano da ogni ombra di raggiri, di bugie, di macchinazioni, e non avendo per ultimo riportato altro premio che l’infortunio per le fatiche di molti anni e un nuovo esilio per ristoro dell’antico. Quanto alla sufficienza, non vi ha un solo dei falli commessi e dei disastri avvenuti nel corso del Risorgimento italiano, a cui io abbia partecipato; anzi io feci colle parole e, quando potei, colle opere ogni mio sforzo per ovviarvi, predicendo i mali assai prima che succedessero e additandone le cagioni. Di che fanno testimonianza non ripugnabile i vari scritti da me dati fuori in varie occasioni, oltre le cose che si diranno in quello che ora esce alla luce. Cosicché io posso ascrivermi questa lode: di non avere da pentirmi anche oggi di alcun consiglio dato o di alcun atto politico da me commesso nel breve aringo della mia vita civile.

Né parlando in tal modo di me medesimo io credo di meritare la taccia di presontuoso, quasi che io mi creda, per ingegno o per animo, privilegiato dagli altri uomini. Imperocché per ciò che riguarda la lealtá e le altre doti morali, il farne professione è al dì d’oggi atto di modestia anzi che di superbia; quando l’uomo dabbene e incorrotto, non che aver lode dai piú, è tassato o almeno sospetto d’inettitudine1. Dell’aver poi schivati gli errori degli altri io ne ebbi l’obbligo a una condizione affatto accidentale, la quale si è che prima di scrivere sulle cose d’Italia e d’ingerirmene io ci aveva molto pensato. Mentre gli uni attendevano ad avvocare, arricchire, godere, curandosi della patria come se non fosse al mondo; mentre altri se ne davano pensiero, ma solo per cospirare e mettere ad esecuzione le loro chimere a dispetto dei tempi; altri infine apprendevano la scienza politica sui giornali: io studiava nel mio

  1. «Quaedam virtutes odio sunt, severitas obstinata, invictus adversum gratiarn animus» (Tac., Ann., xv, 21).