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ed informe1, affinché dal grembo di esso erompa un’armonia nuova.

Queste avvertenze contengono ad un tempo l’apologia e la critica delle rivoluzioni. Le quali sono di due spezie: le une, naturali, necessarie, legittime; le altre, contrarie all’utile, alla natura, alla giustizia. Le prime si distinguono dalle seconde per tre doti principalmente, cioè per la spontaneitá del principio, l’universalitá del concorso e la durevolezza degli effetti che partoriscono. Elle non sono disposte, congegnate, preordinate di proposito colle trame, colle congiure, coi conventicoli: l’unico loro apparecchio è l’opinione pubblica. Scoppiano ad un tratto quasi per magico istinto e sono universali, invadendo tutto un popolo che, senza intesa e convegna precedente, si leva unanime e opera come un sol uomo. Tanto che non l’ingegno individuale (anche quando campeggia nelle prime mosse e colle idee le ha preparate) ma il popolo è il loro artefice, e sovrattutto la plebe, piú prossima a natura e meno imbastardita dall’arte, nella quale le ragioni del sentimento e i misteriosi impulsi prevalgono. E veramente ogni rivoluzione naturale, siccome ha in se stessa dell’arcano e dell’inesplicabile, cosí tiene del profetico e del prodigioso, derivando da quelle leggi di natura che sfuggono alla nostra apprensiva e inchiudono una preoccupazione fatidica dell’avvenire. Quel non so che d’impreveduto, d’involontario e di fatale, che suscita e accompagna tali commozioni pubbliche, ne è la migliore giustificanza e le rende non meno vittoriose che eroiche. E se l’impeto che le opera riscuote la meraviglia, i frutti che ne nascono ottengono la riconoscenza, specialmente dei posteri, atteso che non solo son suggellate dal buon successo, ma incominciano un ordine nuovo e stabile e ringiovaniscono la nazione. E benché interrompano la tradizione governativa, tronchino la continuitá del corpo sociale e spesso per l’infermitá umana non vadano disgiunte da gravi calamitá e da fatti atroci, non però lasciano di esser giuste nella loro sostanza, perché la necessitá le scusa,

  1. Cioè all’apeiria dei filosofi greci, al caos dei poeti e a quello della Genesi (i, 2).