Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/179


libro primo - capitolo settimo 173


termini e contaminandosi cogli eccessi, diventano odiose e apparecchiano la riscossa; dove che le mutazioni dialettiche, proponendosi uno scopo inteso e piaciuto universalmente e radicandosi senza sforzo, sono per essenza temperate e conciliative. «Tutte le transizioni — dice il Leopardi — conviene che siano fatte adagio; perché se si fanno a un tratto, di lá a brevissimo tempo si torna indietro, per poi rifarle a grado a grado. Cosí è accaduto sempre. La ragione si è che la natura non va a salti e che forzando la natura non si fanno effetti che durino. Ovvero, per dir meglio, quelle tali transizioni precipitose sono transizioni apparenti ma non reali»1. Gli affrettapopoli sono perciò poco meno dannosi dei ritardapopoli e riescono al medesimo, costringendo gli uomini a rifare il giá fatto e a rimettere il tempo e la fatica. E siccome i corrivi e i retrivi parimente scapestrano, cosí soglionsi contrabbilanciare e i loro sforzi si annullano scambievolmente; come, quando nella lotta l’uno tira e l’altro spinge con gagliardia pari, i due moti opposti equilibrandosi tengono immobili i lottatori2.

Il progresso civile non vuol essere né lento né precipitoso: non si dee troppo incalzare né rattenere. La sua regola è la

  1. Opere, Firenze, 1845, t. ii, p. 93.
  2. Questo fatto si verifica non solo quando le innovazioni pratiche discordano dai concetti dei piú, ma eziandio quando i concetti dissentono dai costumi; il che non è raro, la mutazione solendo essere piú difficile e lenta dal canto di questi che di quelli. Ora ogni qual volta manca l’accordo dialettico tra il pensiero e il costume, la maggior parte dei conservatori, governandosi colla falsa dottrina esposta nel capitolo precedente, tira indietro il primo. Eccovi la ragione per cui oggi l’ingegno fa paura, si esaltano i mediocri, si abbracciano i gesuiti, si torna al medio evo, e il nipote di Napoleone Buonaparte vorrebbe dopo il ristauro papale rinnovare come lo zio l’impero di Carlomagno. L’esuberanza del pensiero cominciò fin dal secolo passato, e seguí un corso cosí celere che ne nacquero due gravi dissonanze: l’una tra la classe colta e la plebe, l’altra della classe colta seco medesima; in quanto cioè la sua educazione, le pratiche, gli uffici ingiunti dalla vita sociale non hanno piú la corrispondenza richiesta collo stato degl’intelletti. Per impedire che nei due casi l’armonia si rompa, o dirò meglio per ristabilirla, non bisogna giá tirare la scienza indietro (come s’ingegnano di fare i falsi conservatori), ma temperarne la parte acroamatica e accomodarla al bisogno col savio uso dell’essoterica. Coloro i quali credono che il regresso sia un bene, per rimediare al progresso precipitoso e ristabilire mediante l’equilibrio l’armonia sociale, sono ingannati dall’apparenza, perché tale equilibrio non dura e non fa altro che affrettare il precipizio.