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proemio 5

piú difficile il farle bene, e il difetto di esperienza l’addurle a buon fine. Non per altro il nostro Risorgimento fu cosí serotino e appena incominciato mancò. Ma gli errori che tanto costarono alla nostra generazione potranno fruttare ad un’altra, se le tristi loro conseguenze le insegneranno a schivarli. Il Risorgimento è una grande e dolorosa esperienza, che bisogna aver di continuo davanti agli occhi per non ripeterla e per tenere la via diritta, ché la ricognizione dei falli è principio di ammenda, e chi studia follia appara saviezza. Questo è il primo e piú rilevante apparecchio pei casi avvenire; laddove se gl’italiani si ostinassero a difendere per belli e buoni i trascorsi degli ultimi anni, vano sarebbe lo sperare, quando che sia, miglior fortuna ai loro conati. E i futuri disastri sarebbero non solo piú gravi, ma piú inescusabili dei passati, poiché mostrerebbero negli autori difetto di una qualitá che non manca eziandio agl’idioti, cioè quella d’imparare e rinsavire a proprie spese.

Il primo libro di quest’opera esporrá pertanto gli errori commessi e mostrerá la stretta e necessaria connessione loro cogl’infortuni che sopravvennero. Dirò non mica tutto il vero sopra tutte le cose, ma bensí su quelle che importano. Parlerò delle persone con intera franchezza, senza guardare a privilegi di grado o di nascita, perché il tempo delle dissimulazioni e dei rispetti umani è passato, e sarebbe peccato l’antiporrei riguardi personali alla patria. Ma non imiterò taluno de’ miei avversari, abusando i secreti inviolabili e prevalendomi di lettere scrittemi sotto il suggello dell’amicizia; e dirò come quell’antico: «A ciascuno il suo stile; anch’io farei come loro, se fossi loro e non io»1. Benché il soggetto mi obblighi ad allargarmi sui falli e sui sinistri, non lascerò tuttavia di accennare il bene quando ne incontro; e distinguerò colpe da colpe, osservando la legge del chiaroscuro, che è altresí quella del vero e della natura. Sarò equo e giusto, guardandomi dall’imitare certi libri e certi giornali che amano i contorni crudi e taglienti, perché son

  1. «Nihil enim malo quam et me mei similem esse, et illos sui» (Ap. Cic., Ad Att., ix, 16).