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GAZZETTA MUSI plastico ed estetico, riesci ammirabilmente dal lato drammatico e vocale, e nella frase: «Non sono damigella, nè bella» fu somma. La signora Carezzi cantò F amore e non lo mormorò e fu costante in tale bellissima esecuzione die nel terzetto finale produsse un grandissimo effetto, a tale da ingigantirla ai nostri occhi da quello che F avevamo giudicata sotto le spoglie di Semiramide. Dal-Negro rappresenta Mefistofele, e quantunque questo carattere sia molto difficile, sa ricavarne grande effetto e come azione e come canto, sebbene nell’interpretazione s’attenga di più a Don Giovanni che al Satana. Del resto la sua voce rotonda, piena nell’aria: «Dio dell’or» strappò gli applausi al pubblico che sin dal principio faceva il viso dell’armi. Zennari, nella parte di Faust, è piuttosto uno studente in cerca d’avventure che un eroe dato al diavolo; nullameno la sua voce giovane, fresca e vibrante produsse un eccellente effetto che condivise colla Carezzi e con Dal-Negro nel terzetto finale. Milesi non piacque nelle tre scene di cui si compone la parte di Valentino, al contrario venne applaudita la giovane signora Filippi (Siebel) nella ballata dei fiori. Tutto sommato, l’esecuzione del Faust, per parte dell’orchestra, cori e artisti, eccettuato Valentino, fu buona e frequenti furono gli applausi, quantunque parte del pubblico alla prima rappresentazione (13) avesse tentato di mandar tutto a rovescio per l’assenza delle ballerine che danzassero il famoso valzer. Il buon senso del vero pubblico ha reagito talmente, che la seconda sera tutto andò bene e gli artisti vennero chiamati al proscenio più volte alla fine dell’opera, e l’impresa ha promesso cambiare Valentino. Vi sarebbe qualche cosa da dire sulla messa in scena, sugli abiti troppo sfarzosi di Margherita e sul frequente cambio di luce nel 3.° atto. Da Rossini a Gounod, la transizione immediata non è facile, e noi riteniamo che ove frammezzo si fosse data un’opera d’altra maniera, un vantaggio ne sarebbe venuto all’impresa e al pubblico. F v rI’a via, 16 gennajo. Quasi quasi, per vezzo di originalità, comincerei a parlarvi dell’ultima scena — Il massacro dei Vespri ’Siciliani — che taluno asserisce essere la meglio riuscita, poiché (sempre il taluno) tutto il resto dell’opera sarebbe press’a poco un Massacro dei Vespri Siciliani, fatta però qualche onorevole eccezione. Intanto I Vespri non hanno affascinato il nostro pubblico, vuoi perchè non interpretati bene dai cantanti, vuoi per scarsità nell’orchestra di violini e violoncelli indispensabili, vuoi perchè vedovati di quell’apparato scenico (che qui brilla per la sua indecenza), senza cui somigliano a un gigante con una gamba di legno. La sinfonia, eseguita da un’orchestra mancante si di numero, ma che conta nel suo seno ( molto magro ) alcuni valenti professori e che è egregiamente diretta dall’abilissimo direttore Ramperti, allievo del vostro Conservatorio, fu in certe sere applaudita. — Alla prima donna signora Pollaci, siciliana, avvenente nella persona, ma debole di voce, sebbene educata a buona scuola e che cantò la prima sera, fu sostituita la signora Saurei, che piacque assai e come prima donna e come donna. Il tenore Ponti ha voce vibrata, e, come dice quel taluno di sopra, prende talora le note come si acchiappano le mosche. I cori se la cavano abbastanza bene; alle volte però troppo francesi, alle volte troppo poco siciliani. V’ha un secondo tenore Salemeno, che si sostiene benino nella sua modesta parte. Degli altri cantanti non ho tempo di discorrere. V’era chi voleva fare un Vespro anche di loro. — Invero sarebbe troppo. — Del basso disse con spirito un cronista teatrale della nostra città che se Giovanni da Procida avesse avuto la voce di quello ei sarebbe da dubitare se egli sarebbe riuscito a trascinare i Siciliani alla riscossa contro i Francesi. Della Commissione teatrale si può dire, senza tema d’essere tacciati di parzialità, che si rese benemerita pel modo con cui curò l’allestimento del Faust e del ALE DI MILANO 23 Ballo in maschera... nel carnevale 1871 (!) — E giusto però il riconoscere che con poco si fa poco. Si stanno preparando gli alloggi per l’arrivo dei Lombardi alla prima Crociala. — Basta che non sieno Croati... delV ultima spedizione. V. Venezia, 17 gennaio Ieri sera alla Fenice terzo fiasco colla Jone, che naufragò completamente. Dell’equipaggio non giunsero in porto che Nidia ed Arbace: la prima sorretta dall’appoggio de’suoi concittadini che vollero, e giustamente, incoraggiarla: F altro deve la salvezza al nome suo che suona caro e gradito in arte La ciurma propriamente detta (coristi ed orchestra, ma particolarmente i primi) fece prodigi di valore, ma fiato sprecato: il naufragio era inevitabile. Ora si vuol ritentare la prova della Jone sostituendo alla signora Schwarz la signora Moro. L’impresa scritturò la signora Majo per darci poscia il Macbeth. Maggiori particolari nella prossima settimanaP- F I>arig,i, 17 Gennaio. Posso alfine parlarvi della prima rappresentazione del Re Carota, e vorrei non dovervene parlare, tanto il disinganno è grande. Tanti mesi d’aspettativa, tanto tempo impiegato alle prove, tanto danaro speso per questa Fantasia, o come chiamasi qui, per questa Féerie, ed arrivare a che? A quel che costà dicesi fiasco. Intendiamoci; non è già lo spettacolo che ha fatto fiasco. Quando si spendono trecento o quattrocento mila franchi per la messa in scena, è superfluo il dire che è splendida, lussureggiante, fascinatrice. L’occhio è soddisfatto, anzi ammaliato. Ma non basta il sedurre la vista. A che valse il chiamare uno scrittore ben noto per opere teatrali assai meritevoli, come V. Sardou, quando non si doveva ottener da lui che una di quelle inette e vecchie scempiaggini che hanno già servito di cornice o di preteso a tutte le produzioni fantastiche di questo genere? Sempre la stessa cosa! La fata benefica e la fata malefica, un principe ed una fanciulla perseguitati, e dopo varie peripezie, salvati. Questa volta il principe è Fridolino XIV che ama una certa Cunegonda, la quale invece s’innamora d’un altro sovrano, orrido, stolido, stucchevole, uscito di sotterra, d’una radice animata, insomma del Re Carota. Fridolino, obbligato a fuggire dai suoi Stati invasi dall’usurpatore imbecille, cerca un talismano per ricuperare il trono; lo cerca a Pompei, nella Repubblica delle Formiche, nel Regno degl’insetti, nel Paesq delle Scimmie e finisce per non trovarlo; ma invece ritrova il suo trono. Cunegonda sen va a far la cantatrice di strada. La Carota coronata ritorna sotterra, d’onde non avrebbe mai dovuto uscire, ed il principe Fridolino sposa una fanciulla che l’ha seguito nelle sue peregrinazioni celesti e sotterranee, sotto abiti virili e che ha nome Rugiada della Sera. Come avete potuto vedere da questa rapida analisi, il dramma è palpitante d’interesse!... Tutto il tempo passa a veder ravanelli, porri, carote, bietole, ebuli, aneti, ecc. trascinarsi sulla scena, formiche e formicaleoni, farfalle, vespe, api, grilli, e per ultimo scimmie d’ogni sorta, beninteso che ognuno di questi vegetabili, insetti o quadrumani è rappresentato da un uomo o da una donna! Immaginatevi delle formiche grandi come le persone!... Tutto il diletto dello spettacolo è in questa strana metamorfosi. Ve n’ha un altro: quello di veder le ballerine quasi del tutto ignudò; una semplice maglia color carne ed appena appena un po’ di stoffa indispensabile... ma cosi poco, cosi poco; quasi nulla. Insamma la parte del sig. Sardou in quest’opera fantastica è ben poca cosa: ed ha questo di comune con la stoffa che copre in sì minime proporzioni le forme provocanti delle ballerine. Dello spettacolo vi ho già parlato. Resta a dire della musica. Offenbach ha messo qua e là qualche melodia più o meno originale, con gran numero di pezzi di musica da ballo, come polke,