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gnora italiana, che dimorava con la Pasta; e questa ammirolla grandemente, e mi disse desiderare essa pure d’impararla, poiché bramava tanto di cantare qualche romanza inglese. A quel tempo Donizetti stava scrivendo in Italia la sua Anna Balena per la Pasta; ed ho buone ragioni per credere che la Pasta al di lei ritorno in Italia desse la romanza a Donizetti pregandolo d’introdurla nella sua opera. Ciò spiega perchè una parte della melodia sia nell’opera d’Anna Balena, sebbene Donizetti non mi abbia fatto comunicazione di sorta. Avrei risposto alla vostra lettera prima d’oggi, ma trovandomi io fuori di città non l’ebbi in tempo per fare, come avrei desiderato. Credetemi, ecc. Henry R. Bishop». Dopo la citazione da me fatta della lettera di Lord Houghton in un precedente carteggio era necessario riferire per intero la lettera del chiarissimo autore di - Home, siceet home - la quale per sè sola basta a rimuovere tutti i dubbi ch’erano stati messi in corso circa l’autore di quella sempre popolarissima romanza. I direttori della compagnia del palazzo di cristallo annunziano una serie di meetings musicali per l’estate prossima con premi, ai quali potranno concorrere società corali’ nazionali e straniere, bande di volontari, cantanti di romanze, e amatori di musica in generale. I dettagli di questi concorsi hanno però sempre da venire, appena mi saranno noti offrirò alla attenzione dei vostri lettori. Il fatto però che la compagnia del palazzo di cristallo apprestasi a distribuire premi sino al valore complessivo di mille lire sterline, prova com’essa conti sul favore del pubblico. E il pubbìico certo incoraggierà colla sua presenza quii meetings, musicali. e darà un’altra prova dell’interesse maggiore che sente, e del migliore apprezzamento che fa dell’arte musicale Negli ultimi anni gli inglesi hanno fatto veramente miracoli per l’innalzamento dell’arte musicale. I pochi cantanti nazionali, ch’essi hanno, sono ricercati universalmente nel regno a prezzi favolosi; e il fatto che gl’impresari siano disposti e possano pagarli spiega chiaramente la situazione. Egli è cosa comune che cantanti come Sims Reeves, Vernon Rigby ricevano cento ghinee per cantare una romanza o un pezzo di musica qualunque in un concerto pubblico o privato! Osserverò inoltre che male un impresario potrebbe pagare le stesse somme a cantanti italiani, perchè un concerto di musica italiana, cantata da italiani, non è mai sì attraente come un concerto di musica nazionale, o anche musica estera, cantata da ar- *’ fisti nazionali. Non dirò che gl’inglesi non amino la musica e il canto italiano; ma certo è ch’essi vogliono incoraggiare i loro connazionali. Non conviene credere che, perchè durante la gran stagione di Londra i signori Mapleson e Gye fanno buoni affari con tutte le spese enormi che hanno da sopportare, il teatro italiano sia perciò in Inghilterra popolarissimo. Il teatro italiano è una moda aristocratica che, sebbene duri da lungo tempo, è, secondo me, soggetta a mutamenti e a rovesci, precisamente come ogni altra moda. Dirvi altrimenti sarebbe dirvi cosa non vera: poiché non è realmente che l’aristocrazia che lo frequenta; e piuttosto che per l’arte lo frequenta perchè il teatro italiano è uno degli ozi della stagione ed «è necessario essere l’opera». fVienna, 30 dicembre (Ritardato) Se noi sapeste ancora, vi dirò ch’io amo l’archeologia, in qualunque parte dello scibile essa fu condotta a disciplina di scienza. Oltre che l’amica mia sottraemi per qualche istante alle noie del presente, mi guida ella a conoscere per filo e per segno il successivo svilupparsi delle forme, e per tale via, che non è sempre sparsa di rose, mi riesce assai piacevole la cognizione di un determinato oggetto nella sua forma attuale. Siccome non sono d’avviso ch’altri possa valutare convenientemente la virilità se non si rifaccia all’adolescenza e più addietro ancora, all’infanzia, cosi penso che a dilettarmi dello spirito dei fatti odierni mi giovi grandemente riandare lo storico procedimento dei fatti stessi e risalendo alle prime radici sorprendere il loro germe ed il loro nascimento. Mi ricorda il fervore con cui ho seguito da studente le lezioni della storia della Musica, che alla nostra Università vengono tuttora continuate da un pubblico e ordinario professore, membro autorevole della facoltà filosofica universitaria, il quale, con esempio forse unico in Europa, chiamato dal Governo ad insegnare storia della musica all’università, con erudizione e critica, con saggi vocali ed istrumentali, ei faceva percorrere il cammino già fatto dalle varie forme musicali e di secolo in secolo ei conduceva fino ai maestri della giornata. Se questa cattedra di estetica musicale e storica non fosse stata ancora eretta nelle vostre Accademie di perfezionamento o nei vostri Istituti superiori, son certo che fareste opera benemerita dell’arte, elevandovi a strenuo e ardente propugnatore di essa. Credetemelo in parola, accanto ad una cattedra di filologia sanscrita o comparata può starne assai bene una della storia della musica, sostenuta però da un valentuomo, di cui si possa dire: ei non sono quattrini arrandellati quelli che lo stato spende per lui. Torno in chiave, se mai avessi allungata di troppo questa, che pur non dovrebbe essere una stonatura. L’utilità pratica dell’archeologia musicale mi fu evidentissima, quando sere fa assistevo con religioso raccoglimento ad un concerto storico, offertoci dal signor G. Promberger, Professore di piano nella Cappella imperiale di Pietroburgo. Il concetto inspiratore di questo concerto fu di mostrare in una serie di pezzi eletti lo svolgimento successivo della produzione musicale dalle sue origini fino quasi a noi. Bel compito, non è vero, codesto? Muovere dal 1100 e pervenire al 1770 portati dai numeri e dalle armonie, è un diletto che ha pochi di somiglianti. Per canto mio mi propongo riferirvene in modo particolareggiato, e ciò per due ragioni principali; la prima è, che la musica italiana vi ebbe bellissima parte ed importantissima; e l’altra, che fra tanti concerti a perditempo, ai quali ho dovuto assistere per tener fede alla mia promessa e tener su questa cronaca in modo degno dell’arte, solo il concerto storico del Promberger fu meno una speculazione, che una testimonianza di culto e d’amore all’arte stessa. Ed appunto perchè strettamente tale non ebbe tutto il successo che meritavano il nome del distinto concertista e lo scopo ch’egli vi si era proposto. Condotto da molta esperienza e squisitezza di gusto egli mise assieme un programma, ch’io non risterei dal chiamare modello del genere. Se lo divise bravamente in due sezioni, di cui la prima conteneva saggi di canto ecclesiastico e di musica ch’io mi permetterei di chiamar civile; il madrigale dalla grazia e dolcezza meglio misurata vi primeggiava. Dichiaro solennemente che. non sono nè clericale, nè bigotto, nè che fo il battezziere: ma quando udii armonizzato in triplice consonanza di sono per coro e basso «l’inno alla beata Vergine» del XII secolo, il Kyrie di una messa di Guglielmo Dufay del secolo XV, il Miserere di Pierluigi da Palestrina (1524-1590) che per tre secoli veniva cantato durante la settimana santa nella Cappella papale, e quando udii per ultimo il celebrato Crucifixus ad otto voci di Ant. Lotti (1665-1740). vi confesso che una certa commozione insolita mi ricercò dolcemente e compresi da quale fede da quale inspirazione doveano essere animati quei buoni vecchi quando significavano cosi bellamente le cristiano-cattoliche aspirazioni. Capisco benissimo che oggi in quanto ad aspirazioni ascettiche s’è ben giù di lì; ma ciò non impedisce che dalle odierne profanazioni della chiesa altri non si distolga per poco e non si riduca a gemere col Palestrina ed a piangere col Lotti, almeno in musica e fuori d’ogni precetto emanato dall’infallibilità della Curia. Però il nostro concertista ei fu parco di quest’ordine dr affetti, ed anche per offrirci un piacevole contrasto, dal «disonor del Golgota» ei condusse nelle braccia di Cupido e nelle erotiche delicature di due madrigali tedeschi, uno del 1500 di L. Senfl e l’altro di Dom. Frederici del 1624. Sono epigrammi musicati codesti, dei quali si perdette lo stampo; in ogni modo preferibili a certe amorose delinquescenze dei nostri dì, le quali vanno molto vicine alla freddezza. Nella seconda parte brillò di tutta la corruscante sua bellezza la musica italiana d ili’ epoca più splendida del suo primo apparire nell’orizzonte fulgidissimo dell’arte. Che sprazzi di luce diffusa per mano del genio in opere, in canzoni, in saggi per piano ei porse raccolti in un prisma 1 abilità del maestro! Dal 1600 allo scorcio del secolo passato l’Italia ebbe un’epoca di gloria sì bella per culto di musica, da farsi perdonare non poche deiezioni in politica e non minori in letteratura. Ella era ancora re fina, e chi ne dubitasse, oda X Euridice di G. Jacopo Peri (1600) la primissima delle opere, qualche anacreontica di Alessandro Scarlatti (1650-1728), l’aria dell’opera La Clemenza di Tito di Leonardo Leo, l’arietta della Papagena di Nicolò Jomelli (1714-1790), solo il duetto dell’opera buffa La Serva Padrona del Pergolese (1700-1736), oda solamente, die’io, questi saggi e dica poi se io abbia esagerato. Il programma del concerto storico era appunto ingemmato di queste bellezze; un’attenzione concentrata ne seguiva l’esecuzione, ed uno scoppio fragorosissimo d’applausi manifestò sulla fine l’ammirazione che aveano destata Era un omaggio al genio italiano, il quale anche in secoli addietro seppe tener accesa la sua fiaccola e lumeggiare la civiltà europea. A questi numeri di canto tennero dietro quattro pezzi per pianoforte: un Allegretto di Dom. Scarlatti, una Romanza dei Balbastre, X Egyptienne del Rameau, il preludio e la fuga del Bach. A chiudere con un degno finale tanta magnificenza e va