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PUSILLO XXVII. KT. 13 31 MARZO 1872 SI PUBBLICA. OGNI DOMENICA La ristampa dell9 Opera.Æ T D Æ del ’maestro O. Verdi, per Canto e Pianoforte e Pianoforte solo, sarà compinta entro la seconda quindicina d’Aprile prossimo. LE SOVVENZIONI AJ TEATRI La vecchia quistione delle dotazioni teatrali quest’anno è disseppellita con più ardore del solito; due fatti contradditorii sembrano aggiungerle nuova vita. Bologna o o o o e Venezia hanno negato la dote ai loro teatri, la Francia invece ha votato testé 840,000 lire pel teatro deifi Opéra, 140,000 peli’Opéra Comique, 100,000 pel teatro Italiano e 40,000 pel Lirique. Che cosa farà fi Italia, che cosa farà Milano? Gli oppositori delle dotazioni si fanno forti di varii ’-argomenti; essi dicono prima di tutto, che il teatro è un divertimento, che l’economia politica insegna che i denari spesi nei divertimenti sono male spesi e che un’municipio deve pensare ad amministrare la cosa pubblica, non già a procurare lo spasso dei suoi amministrati. Il ministro francese Simon ha risposto per noi che «il teatro è una delle poche reliquie splendide e rimaste in piedi dopo i disastri della Francia» e il relatore signor Beulè ha fatto eco a quest’idea, provando che il teatro è «un mezzo d’educazione artistica, e che le rappresentazioni musicali d’oggidì sono la più alta manifestazione del lirismo 4).» (1) Ecco alcuni frammenti del discorso del signor Beulè: «Io non sono di coloro che non vedono nell’Opéra altro che danzatrici e vestiari; io vi vedo la più nobile, la più compiuta, la più grande espansione di questo soffio poetico che si eleva verso l’ideale e si chiama genio lirico.».... «Tutte le arti prestano il loro concorso alla musica, l’archittettura nelle decorazioni, la pittura colle invenzioni più ardite, gli effetti di prospettiva più sapienti; i giuochi di luce propri a trasformare r illusione in realtà, la scultura, l’arte dei costumi, tutte le arti pagano il loro tributo alla musica che in quel giorno primeggia, e regna da sovrana.» L’oratore volendo provare il primato del teatro dell’Opera di Parigi, si caccia in un ginepraio di considerazioni da cui non esce senza prima aver dettò molte castronerie. Egli riconosce che i Francesi hanno imparato a cantare e a scrivere per le voci dagli Italiani, ma afferma, che l’Opera di Parigi ha preso all’Italia e alla Germania. i loro. grandi maestri e li ha fatti francesi, che Rossini dopo tutti, i suoi trionfi d Italia senti in Francia il bisogno di rimettersi a scuola (!)! che Verdi imparò le delicatezze e le grandiosità della musica della scena, a Parigi e prima non sapeva scrivere per V orchestra (!!). A tutti questi artifizi rettorici risponde una sola osservazione: RoSsmi prima di andare in Francia aveva scritto II Barbiere di Siviglia, l Otello, la Seìniramide, la Gazza Ladra e il Mosè; Verdi aveva scritto la Traviata, il Trovatore, il Rigoletto, e tanti altri capilavori. Seguendo il sistema oratorio del signor Beulè sarebbe facile a noi provare con assai più di ragione che la Scala diede gloria ai grandi compositori d’ogni paese, 1 quali sono perciò fatti italiani, ma al nostro orgoglio bastano, crediamo, i grandi • di casa nostra. Si capisce assai bene come vi sia della brava gente inaccessibile a questo entusiasmo per la musica e per fi educazione artistica che ha la cattedra sul palcoscenico; costoro al grido «abbasso le dotazioni» aggiungerebbero senza scrupolo al mondo l’altro: «abbasso i teatri, abbasso la musica, abbasso le arti». E sono logici. Infatti, abolite le dotazioni teatrali, sono aboliti anche gli spettacoli, si abolisce la musica melodrammatica che è la creazione più grandiosa dei tempi moderni, si aboliscono i maestri e gli scolari, i teatri e i conservatori. Coloro che s’impauriscono all’idea di simili rovine ribattono che ciò che non può e non deve fare il municipio possono e devono farlo le associazioni private. Ecco uno di quei tanti lirismi di pensiero che si presentano cogli atteggiamenti ipocriti del positivismo. Provatevi a cercare ciò che vi ha di pratico in questa teorica delle associazioni private, applicata al risorgigimento teatrale. Cento industriali si associano in una intrapresa, dieci giovani appassionati pongono le basi d’un’accademia, dugento bontemponi formano un club e sta bene; ma una società che deve provvedere agli spettacoli pubblici non può contare nè sugli speculatori, nè sui bontemponi, che sono i più, ma soltanto sugli innamoratori dell’arte, che sono i meno. E poi come ogni società ha il suo intento, così ogni socio ha il suo; l’azionista che non conta sopra un dividendo finanziario, vuole il suo dividendo di privilegi. In quali rapporti il socio si troverà col pubblico? qual sorta di tirannia gli sarà concessa? A queste domande è difficile rispondere. Lo vediamo tutti i giorni: i soci d’un club jo d’un’accademia non stanno bene insieme col pubblico. Immaginate per poco possibile una società gigantesca che basti a provvedere ai bisogni della Scala - essa ei darà forse uno spettacolo magnifico, ma sopprimerà una bagatella - il pubblico della Scala. Lo ripeto con convinzione: le associazioni private, in cose d’interesse esclusivamente pubblico, non riescono, o se riescono tornano più dannose che utili. I non pratici di faccende teatrali, diranno: «ebbene, si abbandoni tutto alla speculazione; pensi l’impresario a fornire uno spettacolo buono, e il pubblico accorrerà in folla; così l’interesse privato darà la mano all’arte e dal connubio risorgerà il teatro».