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riazj. La provetta cantante lombarda in quella circostanza influì grandemente sullo sviluppo artistico della giovane milanese, dappoi l’insuperata interprete d’Anna Balena e di Norma. I musicisti, che in teatro ebbero a bearsi della deliziosa emissione de’ suoi suoni, del suo accento penetrante, dell’imponente suo fraseggiare, non dimenticheranno mai il sovrumano potere dell’esteso e soave organo deila Grassini. Chi, addolorato, verga questi brevi cenni necrologici, non ha molto, potè concepire qualche idea dell’eccellenza sua, con mezzi dal tempo affievoliti

 udendola modulare la famosa ultima cantilena
 della Giulietta e Romeo. 0h se le cantanti
 che ora fra i plausi vanno assordando le

platee avessero potuto insinuarsi nell’interpretazione di quelle poche battute, per la omogeneità

 e finezza de’ portamenti vocali di una

settuagenaria avrebbero avuto agio di mistirare quanto esse e con quanto detrimento dell’arte abbiano forvialo dal retto sentiero! - Da molli anni la Grassini (maritata Ragani) era solita passare i suoi giorni tra Milano e Parigi, sicché nel discorrere si abituò ad un miscuglio di francese e d’italiano di una piccante

 originalità. - I consigli di lei valsero a

svelare la tradizione della classica scuola antica alle di lei nipoti Giuditta e Giulietta Grisi e ad innalzarle in un rango distinto. - Nella Grassini la bontà di cuore e generosità d’animo, per cui a benefizio altrui buona parte del suo aveva converso, non erano meno da onorarsi

 che la eminente virtù nel canto. I. C.

I. R. TEATRO ALLA SCALA. La prima sera della stagione di carnevale venne inaugurala coll’opera Attila, dell’egregio maestro Verdi. Multo si è scrino e sul dramma e sulla musica, ed anche la nostra Gazzetta ne pubblicò già due articoli nei primi numeri del 1847, epoca in cui venne per la prima volta rappresentala al nostro Gran Teatro. Non faremo perciò che qualche cenno sui nuovi cantanti clic vi presero parte. - Una nuova artista per noi è la signora Cruvelli, che da poco tempo calca le scene, ma che ottenne già altrove buoni successi. Essa sostenne

 plausibilmente la parte d’OdabelIa, ed

ebbe meritati segni d’approvazione, massime nella sua cavatina. I pregi che possiede d’una robusta e flessibil voce di vero soprano, d’una figura interessante e di molta energia di sentimento, la rendono ben accetta al pubblico, il quale seppe apprezzare le sue doti. - Speria mo che gli applausi avuti la incoraggieranno a non pretermettere lo studio, col quale solo potrà rendere più nitidi alcuni difficili passi che in quest’opera, fortemente accompagnata dall’orchestra, non lasciano apparire l’imperfetta loro esecuzione, ma che in altro spartito di canto più libero e scoperto lascierebbero alcun che da desiderare. Il bisogno che abbiamo d’un’artista che possa sostenere il peso dei grandi teatri, ci anima a spingere la signora Cruvelli verso il perfezionamento dell’arte, e quindi a curare l’espressione del canto, massime nei larghi, non che il dignitoso sceneggiare; le quali cose, accoppiate coi doni che possiede, formeranno quel complesso d’arte e natura che è necessario a riescire eccellente. Il protagonista, signor Manfredi, nuove per noi, disimpegno lodevolmente la parte affidatagli. Fu in lui rinvenuta una buona voce di basso, bastevole franchezza d’azione e di canto, ed in particolare una buona accentuazione. Solo crediamo possa tornargli utile d’evitare lo sforzo che fa troppo frequente di voce,massime quando non lo richiede nè la frase musicale, nè il colorito drammatico; giacché il nostro teatro, ancorché vasto, è per natura sonoro, e può essere sicuro di farsi udire anche

 con canto naturale. Mantenendo la voce in

un medio equilibrio, avrà libero il campo a rinforzarla e diminuirla, come si richiede dal chiaro scuro e dal buon genere di canto. Il tenore Musich è già noto favorevolmente al nostro pubblico, e ottenne applausi nella parte di Foresto per giusta declamazione e per espressione di canto. Il baritono Gnone parimenti nolo a noi, cantò bene l’adagio della sua aria, e venne in generale apprezzalo

 nella parte di Ezio.

Non vogliam però terminare questo breve cenno senza notare, che sarebbe desiderabile una più accurata esecuzione nel largo del finale secondo, nel quale avviene spesso che taluno degli artisti, nel punto in cui il canto è senza accompagnamento, prendendo l’iniziativa con una nota un poco calante, trae gli altri a secondarlo

 e a deviare vieppiù dalla giusta intonazione; per cui giungendo al forte dove ai

cantanti s’unisce l’orchestra, è forza notare una distanza che riesce troppo sensibile anche all’orecchio meno intelligente. Nella sera di sabato 5 corrente fu poi data per seconda opera il Cellini a Parigi, melodramma di Gio. Peruzzini, musicalo dal maestro Lauro Rossi pel teatro d’Angennes in Torino, nel 1845. Fu già riferito in questa

 Gazzetta, come l’opera ottenesse al suo

comparire esito fortunato. Si legge nel N.° 25 di quell’anno un articolo del sig. M.° Luigi Rossi, in cui sono accennale le bellezze che venivano encomiale dal pubblico Torinese. Sfortunatamente non ebbe l’opera un simile successo tra noi: e solo furono qui notati i difetti, le bellezze passarono inosservate. Limitandoci quindi a parlare degli esecutori, faremo innanzi tutto lodevole menzione dell’esordiente signora Luxore di Genova, la quale dà le migliori possibili speranze e promette un felicissimo avvenire. Essa è dolala di chiara, intuonata ed estesa voce di soprano, che facilmente sale fino al re sopracuto e discende alle note basse con notevole eguaglianza. Sempre

 mantenendo una perfetta intonazione eseguisce
 i più difficili passi con molta franchezza

e con una precisione che può dirsi mirabile in un’esordiente. Da questo lato merita fin da quest’ora distinti elogi. Infatti, ancorché il pubblico

 si serbasse freddo nel maggior corso dell’opera,

diede in applausi fervorosi all’esecuzione

 della sua aria, nella quale soprattutto

fece apparire i pregi che abbiam mentovati. Ci lusinghiamo del resto che ponendosi sotto una buona direzione progredirà nell’incamminata carriera, viemmeglio perfezionando le doli che possiede, e procurando di acquistare maggior

 sicurezza nella terminazione delle frasi

come nelle abitudini della scena. - Avendo riguardo al suo buon esito avvenire, crediamo opportuno di avvertirla, che la sua voce essendo

 bella, ma per indole dilicata, converrà

che ben si guardi cosi dagli slanci esagerali che sventuratamente vennero tanto di moda al nostro secolo, come dal cantare in opere troppo

 istrumentate che obbligano l’artista a continui
 sforzi di gola.

Il baritono Superchi sostenne con molto merito la parte di protagonista. È cantante ed attore provetto che giustamente venne finora acclamato sulle scene che percorse. L’azione è dignitosa ed intelligente: il canto di stile corretto e diremmo italiano, aggraziato di certe fioriture a mezza voce che ricordano gli artisti

 d’altri tempi. Si fece particolarmente conoscere
 nella cavatina e nell’aria.

Il bravo basso comico signor Soares, per quanto impegno ponesse nel sostenere il suo personaggio, non riesci ad emergere, essendo la parte sua quasi un fuori d’opera nel dramma. Fare che siasi voluto applicare ad un buffo una parte seria per natura, forse per servire a speciali richieste del teatro per cui l’opera venne scritta. Del tenore pavesi e dell’altra prima donna signora Bianchi, non ci stendiamo in particolari, essendoché l’opera non diede loro campo

 a distinguersi, massime perchè tra noi in

molte parti mutilata. Per ripiegare all’esito mancato del Cellini, nella sera di giovedì venne per ultimo messo in iscena l’Ernani. Trattandosi di musica che tulli conoscono, non diremo anche di quest’opera che qualche parola sui cantanti. E prima d’ogni altro parleremo del baritono Superchi, a cui era specialmente rivolta l’attenzione degli uditori, cosi perchè eran corse le più favorevoli prevenzioni sul conto di lui, come perchè la parte di Carlo

 V era stala fra noi cagione di varie peripezìe. Questa volta la fama non aveva grandeggiato
 nel cammino, e fummo lieti di trovare
 nel Soperchi quell’artista cantante che

molte voci ci avevano annuncialo. Ben più che nel Cellini ebbe qui campo di far bella mostra della nobile sua intelligenza nello sceneggiare, e del suo bel modo di porgere. L’artista del bel canto italiano ha qui meglio

 potuto farsi conoscere. Gli applausi più

invidiabili l’accompagnarono in tutta la parte; ma specialmente nella cabaletta, Vieni meco, sol di rose, ecc., mosse e levò il pubblico

 all’entusiasmo. E veramente egli ei fece

udire quella melodia con modi così nuovi per le nostre scene, che non solo fece onore a sè stesso, ma anche al maestro il quale seppe cosi opportunamente appropriare al suo stile quel soave concetto. Nessuno dei cantanti che hanno preceduto il Soperchi ha saputo dare a questo periodo musicale quel carattere di leggiadria e leggerezza in cui venne concepilo, e senza del quale diventa una cosa volgare. Ci duole che in alcun tratto ci abbia lascialo il desiderio di maggior nerbo di voce: ma siccome ninna cosa è perfetta sulla terra, così non gli facciam carico di ciò. La signora Cruvelli, di cui già tenemmo parola, sostenne la parte di donna Elvira. Eseguì la cavatina, se non a perfezione, almeno

 in modo da farsi applaudire, tanto dopo

l’adagio, che dopo l’allegro, al fine del quale venne due volte richiamala da fervorosi applausi. I pezzi concertali sortirono buon effetto, ed ebbero mollo risalto per la potenza della sua voce, massime ne’ suoni acuti. Di alcune mende ei pare che essa potrebbe correggersi. Per esempio, vorremmo che il trillo, posto a mezzo della cabaletta della cavatina, venisse eseguito colla nota superiore a quella scritta, anziché coll’inferiore; come pure sarebbe bene che le note susseguenti al trillo e che servono di legamento alla seconda

 parte del motivo, ella le accennasse

con minor forza e con maggior garbo. Non dubitiamo del resto che, per il suo vantaggio, vorrà anche emendarsi d’altri piccoli difetti: cioè di quella soverchia oscurità di fisionomia, che le dà un carattere troppo fiero, e di qualche sconvenevolezza nell’abbigliarsi.