Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu/66


- 56 -

il velo palatino fino a chiudere affatto l’apertura posteriore delle fosse nasali, ed accanalando la lingua, la quale è tenuta tesa alla sua base dalla laringe, che in questo timbro resta sempre immobile e alquanto più bassa che non nella posizione naturale. La forma che ne ottiene la faringe è cagione di questo maggior volume e rotondezza di suono vocale. Questa modificazione non si ottiene perfetta che sulle vocali e ed o strette, e sulla vocale u. Cantando sulle altre vocali ben chiare è impossibile conservare la forma suindicata all’organo vocale. Questo timbro, che noi ci siamo provati di spiegare, dà alla voce, come abbiamo accennato, un maggior volume, vale a dire un suono imponente, grandioso, pieno, che spinto all’eccesso diventa spesse fiate anche pretenzioso e quasi ridicolo. Questa grandiosità vocale fu grandemente accetta ai nostri cantanti passati, e tutti essi d'accordo, salvo rarissime eccezioni, unicamente adottavano questo timbro, come l’unico adatto alla maestà dell’arte musico-declamatoria. Se non che derivava da ciò il bisogno di una artefazione nella pronunzia delle vocali, alla quale artefazione tanto ci eravamo avvezzati che neppur ci saremmo sognati di supporre che uno di quegli artisti in tutto uno spartito non ci avesse mai fatto sentire un a chiaro, ed un o od un e larghi; eppure era così. Infatti qualunque artifizio di pronunzia, sia in raddolcimento di consonanti, sia in ristringimento di vocali, sia persino nell’introduzione di alcune consonanti o vocali pienamente estranee alle parole sottoposte alla musica, tutto era adoperato allo scopo del maggior volume vocale, al quale unicamente sembravasi aspirare. E vogliamo lusingarci che non ci si griderà alla bestemmia, se asseriamo, cosa in fatto da noi scrupolosamente osservata, che Donzelli, a modo d’esempio, nella sua sortita del Bravo, dove si presenta colle seguenti parole Trascorso è un giorno eterno, ecc.: non altrimenti interpretava che così: Troscuorso è un giuoreno etereno. E più sotto: Par che un nemico Iddio m'abbia sul petto - Nell’ira sua questo pugnal cacciato, che egli precisamente verteva: Por che un nemico Iddiho, m'obbio sul pettmuo nell'iro suo questo pugniol cocciolmuo. Dall’osservazione delle quali poche parole ognuno può inferire qual novella forma dovessero prendere i concetti del poeta.

Nè taluno voglia supporre che noi discendiamo a simili dettagli per gettare una specie di ridicolo nè sulla scuola, nè meno poi sul grande artista. Ciò si osserva ad oggetto è vero di notare l’esagerazione nella scuola, ma più ancora per poterne dedurre in seguito a quali concessioni sia lecito pur discendere nelle modificazioni della pronunzia, ad oggetto di servire anche un po’ agli effetti vocali, che hanno pure i loro diritti. Nè siamo lontani dal credere che forse a guisa di quel legame che unisce la poesia e la musica tra di loro, debbano parimente averne uno la pronunzia e la voce, vale a dire che siccome nell’affratellamento della poesia alla musica, è dovere d’entrambe soggettarsi a qualche sacrificio, all’uopo di ottenere più pieno effetto, lo stesso accader debba tra la pronunzia e la voce, che tanto si trovano collegate e tanta influenza esercitano l’una sull’altra. Ma di ciò ci riserbiamo di trattare paratamente. Ora proseguiamo.

Scopo primario delia vecchia scuola, come abbiamo osservato, appariva adunque quello di ottenere la maggior pompa de’ mezzi vocali, ed a questo va pure riferita la lunghezza ostentata e il più delle volte anche nojosa e pressoché ridicola delle frasi de’ recitativi, e principalmente di quelli di sortita. Date uno sguardo a tutte le cavatine scritte un pezzo fa, e le vedrete precedute da certi recitativi, che apparivano tessuti a bello studio per dar modo all'artista di sfoggiare tutto il volume della sua voce; e, per non dilungarci dal primo esempio, pigliamo ad osservare il recitativo suindicato del Bravo, il quale abbenchè non sia di vecchia data ha tutte le pompose forme della passata scuola. E meglio che osservarlo, facciamo di richiamarcene alla memoria l’esecuzione. Non avrete per certo dimenticate quelle magnifiche note, ma lunghe, lunghe, del nostro Donzelli! Nè vogliamo ora asserire che al posto ov’erano messe, non cadessero anche opportune. Ma, se ben si bada, ivi non erano per questo primario scopo collocate; bensì nella mira cui destinavansi in genere i vecchi recitativi, quella cioè, di porre in bella mostra, con note tanto fatte, tutta la potenza polmonare del cantante.

Svolgiamo più addentro il nostro tema. I lettori nostri non ponno aver dimenticato, nel recitativo in discorso, non che in ogni pezzo cantato dal sullodato artista, certe solenni stiracchiature o portamenti di voce ascendenti adoperati all’attacco delle note, i quali senza esagerazione, avevano l’estensione ascendente della decima, e spesso anche della duodecima, e talora anche molto più. E nondimeno questi esagerati portamenti costituivano uno de’ vecchi e inescusabili accessorj od abbellimenti del canto, ed adottavansi forse a coprire la supposta crudezza nell’attacco isolato d’una nota, cosa che al giorno d’oggi si ha invece in molto conto. Notar vuolsi per ultimo nell’esecuzione dei recitativi di qualch’anno addietro, quella specie di gruppetto, il quale è anzi qualchecosa di più di un semplice gruppetto, perchè comprende una maggior estensione di note incomprensibili, composto essendo di un portamento ascendente che dipartivasi da un suono basso non fisso, e che strisciando montava a guisa del gruppetto fino ad una nota, superiore d’un tono o d’un semitono a quella su cui cadeva la frase, e che precedeva di solito al terminare di un periodo, la penultima sillaba d’un verso piano. Avremo cura in seguito presentare con apposito esempio più chiaramente le suindicate foggie d’esecuzione.

Le stiracchiature o gli strisciati portamenti poco sopra accennati usavansi non solo nell’attacco delle note, ma dappertutto, poiché si credeva forse non senza qualche ragione, che fosse un togliere alla voce uno de’ suoi bei pregi lo spiccarla crudamente e di salto da una nota all’altra, senza legame, al modo che farebbe un semplice strumento da fiato. Ogni abuso però è riprovevole. Ma di ciò in seguito. Anche le così dette messe di voce adoperavansi frequentissime e lunghe, chè anzi era creduto quasi un obbligo che la nota, se appena aveva un valore significante, dovesse subire l'inflessione o della messa intera o della mezza messa crescente o mancante.

Il gruppetto netto e vero, che distinguesi dall’anzi accennato, usavasi pure molto spesso anche nelle severe e larghe cantilene ed era uno degli abbellimenti i più stimati, e questo pure in molti casi non a torto.

Ora un tratto cangiamo di vestito al nostro Donzelli e osserviamolo nell'Otello o nella Donna del lago. È egli lo stesso cantante del Bravo, della Norma? Non sentite che profluvio di note e di agilità scritte o non iscritte dal compositore ch’egli vi eseguisce?

È lasciando da un lato il tenore in questione, occupiamoci per poco di qualsivoglia spartito di Rossini, e lo vedrete tempestato di semicrome e di biscrome da farne sgomento ad ogni qualunque cantante della giornata; semicrome e biscrome destinate ad essere eseguite non solo da artisti primarii, ma ed anche da parti al tutto secondarie. Aprite, a caso od ove meglio vi piaccia, il Barbiere, la Cenerentola, la Matilde; osservale l'Assur, l’Idreno nella Semiramide, osservate la Zelmira, e voi rimarrete attoniti o poco men che spaventati a pensare come si potesse da umane gole, sia maschili che femminili, eseguire quel diluvio di note, e tanto più quando riflettiate a quelle che pur si eseguivano di soprappiù e non erano scritte, e intendiamo dire scale semitonate, trilli, arpeggi, ec.

Se non che, or ci accorgiamo di avere involontariamente fatto un tacito elogio se non ad altro, almeno all’accurato studio de’ nostri passati cantanti, senza prima darci cura di vedere quanto si faccia in giornata.

Ne pare fin qui d’aver passati in sufficiente rivista gli accessorj del canto adottati dalla scuola di venti anni fa, e che più si staccano dalle attuali forme e da queste appunto si contraddistinguono. Non osserviamo questa scuola che quindici o vent’anni indietro per due eccellenti ragioni: la prima, perchè, come abbiam detto, il canto che di presente nomasi antico, a quell’epoca e non più si riporta; e la seconda, perchè non contando noi un gran numero di annate sulle spalle, assai debolmente potremmo informare i nostri lettori di ciò che non abbiamo nè veduto nè udito.

In altro articolo studieremo di dar un’idea del tipo dell’artista cantante moderno che abbiamo asserito potersi per più ragioni produrre in Moriani. A. M.

CRITICA MUSICALE.

Altri cenni critici intorno

allo STABAT MATER di Rossini.


Crediamo ben fatto dar luogo nella nostra Gazzetta Musicale a queste altre osservazioni critiche dettate dall’egregio e colto Maestro Av. Casamorata intorno al nuovo capolavoro rossiniano, non senza avvertire una seconda volta che ammetteremo di buon grado ogni qualunque controcensura ne verrà presentata, sempre però sottinteso ch’essa abbia ad essere dettata nei termini convenienti ad una polemica dignitosa, meramente artistica e scevra d’ogni personalità.

Forse ci inganniamo, ma pare a noi che uno tra i modi più opportuni a promovere l'incremento delle Arti e a spargere di sempre maggior luce gli studii che le riguardano, sia appunto la libera e schietta discussione de’ varii e più o meno contestabili gradi di inerito di que’ prodotti delle Arti stesse che, o pel nome altissimo degli autori o per le favorevoli clamorose circostanze che ne accompagnano la comparsa, svegliano in ispecial modo l'attenzione del pubblico e lo eccitano o quasi lo costringono a prendere interesse non ordinario al contrasto de’ giudizii de’ quali sono fatti argomento. E questo nè pare appunto il caso dello Stabat di Rossini.

(Segue il Supplemento).