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GAZZETTA MUSICALE | ||
N. 28 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
ESTETICA.
IMITAZIONE
E PITTURA MUSICALE.
IMITAZIONE OBBIETTIVA.
CPedi i fogli 19, 22, 23, 24 e 30).
XXX. Distinguesi l’imitazione o pittura
musicale in obbiettiva e subbiettiva secondo
che si propone di rappresentare oggetti
o sentimenti, cioè secondo che sceglie per
tipo d’imitazione i suoni o movimenti di
oggetti quali sarebbero il fischio del ventò,
il romoreggiare del tuono, il cader della
pioggia, il grido di animali, i canti villerecci’
o marziali o nazionali, oppure dipingere
gli affetti dell’animo.
XXXI. L’imitazione obbiettiva che non
ha altro tipo che i suoni esistenti in natura
riesce sempre fredda e assai lontana
da quel carattere di evidenza che deve rendere
riconoscibile un’imitazione per poca
attenzione vi si presti, a meno si tratti
di canti caratteristici noti.
E<di è facile persuadersene se riflettasi
che 1 suoni prodotti da cause fisiche o
dalla voce di animali, essendo allatto stonati,
debbono necessariamente trovarsi travisati,
resi ciie siano con suoni intuonati.
Osservate il N.° 8 della Creazione del mondo
ed il N.° Ti verso il fine delle Quattro
Stagioni di Haydn, in cui si descrivono gli
animali e se ne imita il grido, e troverete
die, senza le parole, non s’intenderebbe
l’oggetto imitato; ed inteso non tocca chi
solo un poco sia avvezzo alle imitazioni
subbiettive.
Migliori riescono le imitazioni di movimenti
sensibili che al ritmo principalmente
spetta di riprodurre, e d’ordinario ancora
sono più calde perchè alla maggior parte
di esse si desta qualche idea non affatto
indifferente alla vita e ai sentimenti umani.
Se ricordiamo l’introduzione del coro
«Quanta roba, quanti schiavi» nell’Italiana
in Algeri, troviamo che quella musica,
staccatasi dalla parola e desunta piuttosto
dalla scena, rappresenta l’infrangersi
delie onde ancora agitate contro la riva
petrosa.
Il ritmo è quello che ordinariamente dà
forma ai canti caratteristici i quali non
sono mai privi di affetto. In fatti il ritmo
delle canzoni villerecce vi fa correre il pensiero
alla semplice e pura gioja della campestre
vita, il ritmo marziale scuote e rinvigorisce,
e quello delle arie di hallo invita
alla danza. A ben riflettervi il ritmo ha
sull’imitazione di semplici suoni il vantatfgio
di richiamare al pensiero un maggior
numero di idee; e dove nel primo
genere d’imitazione si stenta a indovinare
il soggetto, e non indovinandolo, l’effetto
è nullo, nel secondo se non si coglie nel
vero s’immagina però fàcilmente alcun che
di molto analogo. Cosi nella già citata Creazione
al N.° 5 anche senza la parola «DèlF
occhio al diletto La vasta pianura» il
ritmo pastorale basta a suscitare l’idea di
campagne ridenti; e nel N.° 4 se non indovinate
che trattasi di mare, di fiume,
di ruscello, immaginerete almeno alcun
che capace di un simile moto, e uòn potrete
non provarne interesse.
XXXII. Però non tutte le scene della natura
offrono all’arte imitazioni puramente
obbiettive, molte ve ne. sono le quali grandemente
interessando la nostra vitalità destano
in noi affetti anologhi, ai quali riflettendo
l’artista, e prendendoli a descrivere, giungerà
facilmente ad esprimere e a far indovinare
la scena che si propose. Tali sono,
ad esempio, una tempesta in cui oltre al
fischio del vènto, al romoreggiare del tuono,
al haglior de’lampi, al cadere della pioggia
dirotta l’artista trova il terrore delle vite
minacciate da tanta fùria d’avverse potenze,
‘da tanto disordine d’elementi. Fra
le tante che ne furono scritte bellissima
riputiamo quella di Haydn nelle Quattro
Stagioni trattata a vera fuga, N.l’14 in
principio.
La subitanea apparizione della luce nella
Creazione, il sorgere del sole, il misterioso
e taciturno corso della luna sono imitazioni
di questo genere, cioè piuttosto subbiettive
che obbiettive; e non sarà inutile farne
una breve disamina, onde si scorga il fino
artifizio dell’autore. In che consiste l’etìetto
della luce? In un accordo perfetto maggiore
eseguito da tutte le potenze dell’orchestra.
Ma come mai questo accordo tanto
spesso impiegato produce qui, e non altrove,
un simile effetto? Nel contrasto dei
precedenti: vediamolo. All’apparizione della
luce precede la sinfonia, ed un breve recitativo.
La sinfonia è intitolata il Caos,
e tale è il disordine delle idee melodiche
e della modulazione, che se più a lungo
durasse l’uditore sarebbe costretto o ad
involarsi, o a reagire con violenza contro la
cagione che destò in lui sì penose impressioni.
Mai un’idèa di tonica che non sia distrutta
appena nata, mai una melodia
chiara, un periodo che si compia quietamente,
un andamento che proceda con corrispondenza
di frasi; motivo per cui l’esimio
Àsioli raccomandava agli artisti novelli di
non proporsi mai un simile argomento.
Dopo quel Caos incomincia un recitativo
seguito da poche battute di coro, con una
modulazione sempre incerta che non fa che
crescere il bisogno di alcun che di dichiarato,
di intelligibile; ma l’ansietà è ancora
protratta da alcune sospensioni sulla sotto
denominante e dominante appena accennate
da’violini pizzicati, e dal canto; dopo
di che giunge pur finalmente il tanto sospirato
accordo di tonica, e vi giunge maggiore
ed eseguito dal ripieno di tutta l’orchestra,
e vi è confermato colla più sernpli
ce cadenza appunto per appagare un
tanto desiderio. E qui è da osservare come
a ben intendere il partito che si può trarre
da un tema conviene salire dalle forme
particolari alle generiche, dal concreto all’astratto,
tradurlo insomma quando non
presentasi suscettivo immediatamente di
suoni o di movimenti, tradurlo, dico, in
sentimenti analoghi, in potenze di cui l’arte
possa farsi rappresentatrice. Mi spiego. Il
caos è pressoché inimitabile coi semplici
suoni: meno lo sarebbe per sè medesima
la luce; ma il caos è compiuto disordine
delle cose, epperciò dovrebbe trovarsi privo
affatto di sicurezza chi in un simile disordine
venisse, ad esistere. Quindi il disordine
delle frasi, e la frequenza degli inganni
nella modulazione, col modo minore
dominante, sono attissimi a far nascere i
sentimenti medesimi che desterebbe la cosa
reale. E così la luce è qui una consolazione,
un punto di sicurezza che dopo
tanto travaglio rinfranca gli abbattuti spiriti,
onde quella tonica presagita clic tanto
più alleviala sofferta pena, quantochè annunziata
minore si fa sentire inopinatamente
maggiore.
Così adoperò il nostro autore nel descrivere
il sorgere del sole e il corso della
luna, guidato non so se da luce filosofica,
o da quello squisito sentire che è la prerogativa
del genio, nò l’uno nè l’altro di
questi temi somministrano suoni, ma sentimenti:
il primo il sentimento di sicurezza
e di forza che provasi sempre maggiore a
misura che il senso della vista può meglio
servirsi a giudicare della natura degli oggettilontani,
epperciò quell’armonia ascendente
in tono fnaggiore che a poco a poco
va determinandosi in un ritmo marziale, caratteristico
della forza tanto quanto in plastica
può esserlo un Ercole. Quanto poi alla
luna Haydn la tradusse per quiete stando
colla parola e solo vi aggiunse quel po’ di
mistero che sempre regna nella notte benché
rischiarata da quell’astro e serena, mistero
che si esprime con quei ritardi armo