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capitolo viii 35


Al Volturno, iniziatala battaglia prima dell’alba, il nemico era ancora padrone del campo di battaglia alle 3 pomeridiane; quando giunsero alcune riserve da Caserta che influirono a cacciarlo dentro Capua in men d’un’ora.

Non dirò di Palermo, ove vi fu non solo costanza da parte dei pochi militi nostri e della inerme popolazione, ma sfacciataggine di cacciar via dalla città ventimila soldati che potevan far l’orgoglio di qualunque generale.

Alle prime prove dell’Italia contro i suoi eterni nemici, vi vorrà un Fabio che sappia temporeggiare: ed il nostro paese è tale da poter guerreggiare come si vuole; accettare o no una battaglia quando convenga, gettando frattanto alle spalle del nemico e su tutte le sue comunicazioni tutta la parte virile della nazione, non in guanti bianchi come soglionsi ricevere gli invasori — ma col ferro e col fuoco — fucilando il traditore che ha dato un bicchier d’acqua ad un assassino. Poiché è assassino chi invade proditoriamente la casa di un vicino e se ne fa padrone.

Allora verrà presto la parte di Marcello della spada di Roma, che potrà senza cerimonie attaccar di fronte il borioso nemico, e finalmente Zama, ove un nuovo Scipione torrà ad esso la voglia di venir ancora a mangiare i nostri fichi.

Anche in questo mi tormenta l’idea del prete, che vuol fare degli Itali tanti sagrestani. — E se l’Italia non vi rimedia, è un affare serio! I gesuiti non ponno far altro che: ipocriti, mentitori,