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lungo la francia e l'italia 51


all’uno e all’altro de’ suoi ronzini, e pigliò la mossa col fracasso di mille diavoli.

Io gli gridava a tutta voce: — Per Dio! va’ piú adagio; — e tanto io piú grido, e tanto piú spietatamente ei galoppa. — Il demonio sel porti e gli cavalchi in groppa! — diss’io. — Vedilo? costui andrà straziandomi i nervi a brani, finché m’abbia malamente cacciato in una collera matta; poscia se n’andrà a piè di piombo, tanto ch’io possa assaporarmela a sorsi. —

Il postiglione coglieva il punto a pennello; e, mentre giungeva appiè di un’erta poco piú d’un miglio fuor di Nampont, egli m’avea già fatto entrare in collera contro di lui, e contro di me e della mia collera.

A questo mio nuovo stato bisognava cura diversa; e un buon galoppo fragoroso m’avrebbe ridata la vita.

— Or, pregoti, va’; va’, mio figliuolo — diss’io.

Il postiglione m’additò l’erta. M’ingegnai dunque di ritessermi, com’io poteva, la storia dello sconsolato tedesco e dell’asino; ma il filo mi s’era rotto, e il rappíccarlo era disperata impresa per me, siccome il trotto per quel postiglione.

— Ma se l’ho detto che il demonio ci mette la coda! Eccomi — diceva io — qui seduto, sinceramente disposto quant’altri mai a ridurre in meglio il peggio, e tutto mi s’attraversa. —

Tuttavia la Natura ci riserba un lenitivo soave ne’ mali; ed io l’accolsi grato dalle sue mani, e m’addormentai. La prima parola che mi svegliava fu Amiens.

— Se Dio m’aiuti — esclamai stropicciandomi le palpebre, — questa è la città dove sta per venire la mia povera dama. —

XXVIII

AMIENS

Le parole m’usciano di bocca, quando trapassò in posta il calesse del conte de L.*** e di sua sorella, la quale ebbe appena tempo di farmi un saluto di riconoscimento, anzi un