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310 | vi - commento alla «chioma di berenice» |
corna degli dèi, dei fiumi e dei re; e nella Geografia d’Abd-errachyd el-Bakouy il rifondatore d’Alessandria è cognominato Ilkander Dou-l-Qavn’eyn (Alessandro delle due corna). Vedi la
Dècade égyptienne, p. 276, n. 9. * E chi volesse vedere i simboli
e le effigie del sovrano guerriero, ricorra al libro di Erasmo Eroeslich (Annales compendiarii Syriae: Numismatum, tav. i, Vienna
1744). Plutarco, raccontando queste origini divine d’Alessandro,
conclude: «Dalle parole di lui manifestamente appariva ch’egli
non aveva in se medesimo persuasione di essere dio, né superbiva per ciò: ma serviasi di questa opinione della divinitá sua
per cosí meglio sottomettersi gli altri». Cosí i Tolomei, suoi
successori, non veggendosi a principio stabilmente signori dell’Egitto, tentarono tutte le vie per associarsi agli dèi. Quindi la
favola dell’aquila, di cui parlano Suida e Diodoro siculo (lib. xvii);
quindi le celesti e regali origini di Lago, da noi giá notate ( Discorso
secondo, ii), e gli onori divini fatti da’ rodiani a Tolomeo primo, adorandolo come «Salvatore» (Diod. sic., lib. xx; Plutarco, in Demetrio; Paus., in Atticis). Ma, perch’ei dovea piú sperare dall’opinione
che le genti aveano d’Alessandro, che di lui medesimo, egli usò
d’armi e d’astuzia per avere il cadavere del Magno, e lo seppellí
in Menfi, donde poi Filadelfo lo trasportò in Alessandria (Strab.,
lib. xvii; Curzio, lib. x, cap. ult.; Diodoro, lib. xviii; Pausan., in Atticis). Dopo di che, Filadelfo fece ascrivere fra gli immortali il padre
e la madre Berenice, e fabbricò loro (Teocr., Panegir. di Tolomeo )
«templi odorati; ed innalzò cospicui simolacri d’oro e di avorio,
onde sieno aiutatori a’ mortali ed a’ loro devoti». E stabilí loro feste
ricorrendo certi mesi, e sacrifici di vittime massime (Id., ibid.).
Non trovo ricordanza di favole teologiche intorno a Tolomeo
primo; bensí i suoi successori comprarono gli uomini scienziati ed
i poeti per istituire un culto a Berenice, fondato sul mirabile.
Teocrito, idil. xvii, v. 45:
O veneranda e sovra tutte quante
dèe la piú bella, o Venere, tua cura
fu Berenice, e tua mercé la bella
non varcò d Acheronte il molto pianto.
Tu la rapisti pria che al fiume negro
e al sempre triste traghettier de’ morti
giungesse, e lei nel tuo tempio locavi
al tuo culto Compagna, onde a’ mortali
tutti propizia, amor facili spira,
miti cure concede a chi la prega.