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ultime lettere di iacopo ortis 25


E seguí a narrarmi ch’ei, mentre era tenente s’ammogliò a una fanciulla di povero stato, e che le perpetue marcie a cui la giovinetta non potea reggere e lo scarso stipendio lo stimolarono ancor piú a confidare in colui che poi lo tradí. Da Livorno navigò a Marsiglia, cosí alla ventura: e si strascinò per tutta Provenza, e poi nel Delfinato, cercando d’insegnare l’italiano, senza mai trovare né lavoro, né pane; ed ora tornava d’Avignone a Milano. — Io mi rivolgo addietro — continuò, — e guardo il tempo passato, e non so come sia passato per me. Senza danaro, seguito sempre da una moglie estenuata, co’ piedi laceri, con le braccia spossate dal continuo peso di una creatura innocente, che domanda alimento all’esausto petto di sua madre e che strazia con le sue strida le viscere degli sfortunati suoi genitori, mentre neppure possiamo acquetarla con la ragione delle nostre disgrazie. Quante giornate arsi, quante notti assiderati abbiamo dormito nelle stalle fra’ giumenti o come le bestie nelle caverne! Cacciato di cittá in cittá da tutti i governi, perché la mia indigenza mi serrava la porta de’ magistrati o non mi concedeva di dar conto di me: e chi mi conosceva, o non volle piú conoscermi, o mi voltò le spalle. — E sí — gli diss’io — so che in Milano e altrove molti de’ nostri concittadini emigrati sono tenuti liberali. — Dunque — soggiunse — la mia fiera fortuna li ha fatti crudeli solo per me. Anche le persone di ottimo cuore si stancano di fare del bene: sono tanti i tapini? io non lo so... Ma il tale..., il tale... — e i nomi di questi uomini, ch’io scopriva cosí ipocriti, mi erano, Lorenzo, tante coltellate nel cuore — chi mi ha fatto aspettare assai volte vanamente alla sua porta; chi, dopo sviscerate promesse, mi fe’ camminare molte miglia sino al suo casino di diporto, per farmi la limosina di poche lire; il piú umano mi gittò un tozzo di pane senza volermi vedere; e il piú magnifico mi fece cosí sdruscito passare fra un corteggio di famigli e di convitati, e, dopo d’avermi rammemorata la scaduta prosperitá della mia famiglia e inculcatomi lo studio e la probitá, mi disse amichevolmente di ritornare domattina per tempo. Tornato, trovai nell’anticamera tre servidori, uno dei quali mi disse che il padrone dormiva, e mi pose nelle mani