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254 | vi - commento alla «chioma di berenice» |
ed alla agricoltura1, Lascerò a’ professori di questa madre delle scienze il disputare se quello fosse piú studio di stagioni e di meteore, che scienza di moti celesti. Affermo bensí che non senza disegno politico i savi ed i governi consegnavano all’ammirando e perpetuo corso degli astri la memoria delle gesta e delle arti piú chiare. Onde non mai uomo mi persuaderá che per odio o invidia di cittadini o per incuria di sacerdoti siesi perduta la chioma dal tempio. Era ella cosa sì preziosa da far affrontare la vendetta de’ principi ed il sacrilegio contro gli dèi? E sì agevole al furto era il luogo del tempio, ove si consecrò una chioma regale e di meravigliosa bellezza? Il re la fece egli stesso rapire, per maggiormente persuadere alle suddite genti la divina origine della famiglia de’ Tolomei2 e la possanza in cielo della prima Berenice, diva associata a Venere; e si valse della mano sacerdotale, della fama di Conone e dell’ingegno di Callimaco.
II. Conone fu samio3, e celebre matematico4 dell’etá sua, che viene a cadere verso l’olimpiade cxxx. Tolomeo Filadelfo lo ricettò con gli altri nobili ingegni, che con la scuola alessandrina restituirono all’Egitto l’astronomia; e da quel tempo questa scienza stese salde radici nella Grecia. Tranne Manctone, piuttosto astrologo, e Tolomeo, egiziani, tutti quasi gli astronomi illustri sono greci. Conone viaggiò in Italia5, ove fece le osservazioni su le fasi delle stelle fisse:
Stellarum ortus comperit, alque obitus;
ed alludono i seguenti versi :
Flammeus ut rapidi nitor Solis obscuretur,
ut cedant certis sidera temporibus
- ↑ Ovidio, all’etá di Saturno, Metam , lib. i, v. 136.
- ↑ Teocrito, idil. xvii, 16 e sg. Considerazioni nostre al verso 54 e sg. (Considerazione IX).
- ↑ Pappo, Collect. mathem., lib. iv. theor. 18.
- ↑ Archimede, in initio epistolae praefixae, lib. ii, De sphaera et cilindro.
- ↑ Ptolomaeus, De apparentiis inerrantium , in fine.