Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/169


delle ultime lettere di iacopo ortis 163


qua riserbato, e riserva forse per lunga etá avvenire, lo stato di servitú, nel quale essa in altri tempi ha costretti molti popoli della terra. La irreligione dell’Ortis e il perpetuo dubitare, ch’ei fa sino all’ultima ora, se Dio si curi della terra e se l’anima sopravviva, meritò molte e giuste censure. Nondimeno, ove si consideri ch’ei parla a cenni, e non ripete argomenti convincenti, che non si dicano da piú secoli, e con metodo eloquente a’ di nostri; e ch’ei sente nel tempo stesso necessitá di ricorrere al cielo e ne teme l’ira; e, quando il raziocinio gli fa proferire bestemmie, il suo cuore le abiura e cerca ristoro nelle speranze di un’altra vita, e il crederle vane gli è disinganno amarissimo: sono tutte apologie della religione, perché provano che è ingenita nel cuore umano, e che anche a quelli, che non temono né sperano l’eternitá, è necessaria la consolazione d’accostarsi, almen co’ pensieri e con le lagrime, a Dio. Ora chi dicesse: — Un trattato di materialismo è men nocivo d’un solo dubbio su l’immortalitá dell’anima insinuato nel cuore giá commosso e aperto de’ giovani, — che si potrebbe egli rispondere? Ma l’accusa senza difesa veruna è il suicidio, rappresentato in guisa da fare che alcuno di que’ tanti, che sono indotti dal dolore o dalla noia o dalle sventure al desiderio di finire volontariamente la vita, trovino esempi e ragioni e vigore in quel libro. Spesso, e per lo piú ne’ frammenti1, l’autore tende a persuadere sé e gli altri che, a vivere da liberi e da forti, bisogna imparare a poter liberamente e fortemente morire. Anzi nel documento piú volte allegato2 si legge ch’ei anche dopo otto o dieci anni teneva lo stesso parere: bensí rincrescevagli di non averlo servato a se solo. Né qui disputiamo se sia piú da forte o da vile l’uccidersi; se sia azione che abbia esempi ne’ libri della religione; se sia dannosa alla societá; se sia contraria alle leggi della natura. Forse, nella disputa, gli argomenti de’ propugnatori del suicidio sarebbero vittoriosi. Trattasi qui di sapere se abbiam noi diritto di persuadere gli altri a un’azione, che è l’unica forse irrevocabile, e che, secondo la natura dell’uomo, quasi tutti, se dopo fatta potessero, vorrebbero forse non averla tentata mai. Trattasi di giudicare se chi crede utile alla sua patria ed a’ tempi d’arrogarsi questo diritto, deggia inoltre abusarne, valendosi dall’eloquenza dell’esempio, tanto piú terribile quanto è piú riscaldata

  1. [Fra gli altri uno a p. 42 di questo ii vol.].
  2. Lettera al signor Bartoldi.