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8 iv - seconda redazione delle


Firenze, 17 settembre.

Tu mi hai inchiodata la disperazione nel cuore. Omai vedo che Teresa tenta di obbliare questo infelice. Il suo ritratto l’avea mandato a sua madre prima ch’io lo chiedessi? Tu me lo giuri, ed io lo credo; ma bada: tu stesso, per tentare di risanarmi, congiuri forse a contendermi l’unico balsamo alle mie viscere lacerate.

Oh mie speranze! si dileguano tutte; ed io siedo qui abbandonato nella solitudine del mio dolore.

In chi devo piú confidare? Non mi tradire, Lorenzo: io non ti perderò mai dal mio petto, perché la tua memoria è necessaria all’amico tuo: in qualunque tua avversitá tu non mi avresti perduto. Sono io dunque destinato a vedermi svanire tutto davanti? Anche l’unico avanzo di tante speranze? Ma sia cosí! Io non mi querelo né di lei, né di te, ma di me stesso e della mia fortuna.

Voi mi lascerete tutti; ma il mio cuore e il mio gemito seguirá in ogni luogo, perché senza di voi non sono uomo, e da ogni luogo vi chiamerò sospirando. Ecco due sole righe scrittemi da Teresa: «Abbiate rispetto a’ vostri giorni; io ve lo comando per le nostre disgrazie. Non siete solo infelice. Avrete il mio ritratto quando potrò. Mio padre vi piange con me, ma con le sue lagrime mi proibisce di scrivervi d’ora innanzi, ed io piangendo lo prometto, e vi scrivo piangendo. Addio... Addio per sempre».

Tu sei dunque piú forte di me! Sí: io ripeterò queste parole come se fossero le tue ultime voci, io parlerò teco un’altra volta, o Teresa; ma solo quel giorno che avrò tutta la ragione e il coraggio di separarmi da te eternamente.

Che se ora l’amarti di questo amore insoffribile, immenso, e tacere e seppellirmi agli occhi di tutti, ti restituisse la pace; se la mia morte soltanto potesse espiare in faccia a’ nostri persecutori la tua passione e sopirla per sempre nel tuo petto, io supplico con tutto l’ardore e la veritá dell’anima mia la natura ed il cielo perché mi tolgano finalmente dal mondo. Ma