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delle ultime lettere di iacopo ortis 133


che lo scrittore dell’Ortis non abbia mai letto il Werther1. Ecco adunque de’ fatti, i quali, se da una parte danno favore, dall’altra danno un gran crollo all’ipotesi. E s’è detto altrove2, ed è attestato, come quasi tutte le lettere d’amore furono scritte, quali ora si leggono nel libro, ad una fanciulla e a un amico da un giovine di poco piú di vent’anni, il quale non aveva letto il Werther. Aggiungeremo che, come si trova nel documento citato, il giovane verso quel tempo intraprese di vendicare in qualche modo la patria sua trafficata da’ francesi, e quanto scrisse restò disordinato a frammenti; come pure restarono a frammenti molti pensieri, ch’egli, costretto dalle sue disperate passioni, andava scrivendo con bollente malinconia giovanile onde persuadersi al suicidio, al quale s’era apparecchiato ed accinto; e aveva anche scritto alcune delle lettere che sono verso la fine del libro, e sentite le perturbazioni e gli affetti, cosí per l’appunto come nelle ultime pagine si descrivono da Lorenzo3. Non molto dopo,

  1. Breve esame delle «Lett. d’Ortis», pp. 41-43. Anche il professor Luden inclina ad ammettere questa ipotesi, e non nega la possibilitá che l’Ortis fosse scritto da chi non avesse veduto il Werther. Le sue considerazioni su la riproduzione di uomini e ingegni di pari indole e tempra sono profonde e profondamente espresse. Kleine Aufsätze ecc., pp. 126-129.
  2. Paragrafo iv di questa Notizia, p. 100. E qui pure in gran parte ci è documento la citata lettera al signor Bartoldi.
  3. Fra vari casi di suicidii non consumati il piú meraviglioso ci pare il seguente; e, benché lo scritto che conteneva la narrazione, accompagnata da considerazioni esatte e profonde, non sia piú sotto gli occhi nostri, noi possiamo attestare la veritá del fatto. — Un giovine militare di casa Barbieri, nativo di Napoli, deliberatosi di morire, scrisse una lettera, e si ferì d’un colpo di pistola, che gli ruppe la fronte senza che la palla vi penetrasse; riscrisse un poscritto, e con un’altra pistola appuntata nel palato tornò a colpirsi, e si spezzò la mascella; riscrisse, e il sangue grondavagli sulla lettera, ed ei tingeva la penna in quel sangue; ricaricò una pistola, e, feritosi per la terza volta presso una tempia, la palla strisciò frangendogli l’osso. Ricaricava l’altra pistola, quando gente di casa, sgomentata dagli tre spari, accorse nella sua stanza: e fu disarmato, e curato, e guarì. Il fatto avvenne in Milano ne’ primi mesi del 1803. Il giovine non aveva forse ancora 25 anni. Né disse mai quali cause lo costringessero a voler morire. Chi scrisse la Memoria accennata sul principio di questa nota, lo aveva conosciuto quattro anni dopo, ufficiale nel primo reggimento di fanteria leggera italiano. Era assai deformato in viso, ma d’aspetto pacato e sereno; e sereno di spirito, di vita metodica e attiva, e non senza ingegno. Parlava poco; bensí, interrogato intorno al suo stato morale ne’ giorni antecedenti al suicidio, nel lungo spazio d’ora in cui lo tentava, e nel tempo ch’ei si lasciava curare, rispose con indifferenza insieme e con precisione, e senza tralasciare veruna particolaritá importante, come uomo che aveva avuto sempre agio d’osservare l’anima Sua e che dopo quattro anni continuava a osservarla.