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delle ultime lettere di iacopo ortis 109


troppo; d’altri tace e, benché non gli abbia mai accennati, presuppone che siano saputi; e il vigore e la schiettezza delle espressioni escono da impeto d’anima e da uso pratico della lingua, piuttosto che da metodo premeditato di scrivere. Però chi sul serio dicesse che lo stile di questo libretto piace appunto perché non ha stile (pigliando il vocabolo nel significato delle scuole), darebbe forse nel segno. Non si legge mai, si ode sempre; né s’ode l’oratore o il narratore, bensi l’uomo giovine che parla impetuosamente e lascia discernere i vari colori della sua voce e i mutamenti della sua fisonomia. La versione francese, tenendo metodo al tutta contrario dall’inglese e dalla tedesca, è caduta nel contrario e peggiore difetto. Le prime due, non foss’altro, rendendo frase per frase (segnatamente la tedesca, lavorata da scrittore perito nelle due lingue), lasciano intatta la sostanza del testo. Bensì la francese, per abbreviarlo talvolta, allargarlo spesso, e abbellirlo sempre, lo trafigura in guisa che taluni, leggendola, hanno sospettato che fosse traduzione della Vera storia di due amanti infelici pubblicata da Angiolo Sassoli, anziché delle Lettere di Jacopo Ortis. Senza che, molti passi sono traintesi, molti travolti a bella posta; e il senso vien a rovescio dell’originale: il che s’incontra principalmente ne’ ragionamenti, concatenati con rapida e stretta brevitá, ne’ quali chi tradusse non ha sottinteso i nodi tralasciati dall’autore. Finalmente il traduttore non si contentò né del frontespizio, né d’un volumetto solo: lo divise in due e lo chiamò Le proscrit. Quanto ad altre due versioni francesi, che, stando agli annunzi del Journal de l’empire, 7 febbraio 1811, e della Gazette de France, 9 febbraio di quell’anno, doveano essere vendibili l’una dal libraio Dentu, l’altra dal Lefèvre, non sappiamo altro se non che il governo le sequestrò, e allora il libro fu proibito anche in Italia. A molti pare ad ogni modo difficilissimo che, tradotto in altre lingue, riesca leggibile; ed è presso che impossibile il tradurlo in francese, idioma che ha per indole la chiarezza e l’esattezza, e sopra tutto certa eleganza di «convenzione» e di «bon ton», due cose ignote, agli scrittori originali delle altre nazioni. Insomma, se i pensieri e gli affetti sentiti ed espressi da molti sono ridetti o comunemente o con troppo studio, non possono provocare la curiositá di chi legge, perché ei li sa, né procacciarsi la sua fede, perché gli paiono ricercati e dettati con arte. Ma, se le cose medesime sono riscaldate e scritte da un foco tutto proprio a chi le dice; s’ei le porge quasi gli fossero insegnate dalla sola natura e rischiarate col suo