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viii - istruzioni politico-morali 45


di che riempire il vuoto d’una vita disoccupata. Ciò fu specialmente che accese in cor la passione, o piuttosto il furore degli spettacoli. Epaminonda, il quale aveva col suo genio alzata Tebe, sua patria, a contrastare il primato della Grecia a Sparta e ad Atene, teneva con questa rivalitá risvegliata l’emulazione di questo popolo.

Ma la morte d’Epaminonda li fece cadere in una indolenza e in una mollezza letargica. I fondi degli armamenti di terra e di mare si consumano tantosto in giuochi ed in feste. La paga del marinaro e del soldato si distribuisce al cittadino ozioso; la vita agiata e voluttuosa ammollisce i cuori; il valore e la scienza militare non sono piú contate per nulla; non si applaude piú ai grandi capitani, ma si onorano i piú ricchi; non vi sono piú acclamazioni che per gl’istrioni. La commedia e la tragedia, che devono la loro origine a due abitanti d’Icaria, la prima a Susarione, la seconda a Tespi, erano nate in Grecia, e quel popolo le riguardava come frutti del suo terreno, di cui non poteva saziarsi. Quest’aviditá in Atene era spinta all’ultimo eccesso. I poeti correvano da ogni parte per soddisfarla. Essi trovavano ben tosto lo spaccio della loro mercanzia, e, per attestato di Platone, non avevano strada né piú breve né piú certa per arricchire. Non si contennero essi a’ termini d’uno scherzo innocente; ma la loro licenza giunse (come abbiam osservato nell’articolo terzo della prefazione a questo giornale1) perfino a far soggetto delle loro rappresentazioni i pubblici magistrati, senza nemmeno celarne i nomi. 1Il merito e la dignitá non erano al sicuro de’ loro colpi. Pericle, quell’uomo cosí venerabile e riverito, fu lo scopo dei tratti di Cratino, d’Eupoli e di Teleclide. La condanna di Socrate può chiamarsi il delitto capitale della poesia comica e della scioperataggine degli ateniesi, che condannavano la virtú. Aristofane colla sua mordacitá fece dichiarar empio quell’uomo, che tutti i secoli hanno dichiarato

  1. Il F. vuole alludere al Manifesto del Genio democratico, il quale, per altro, all’«articolo terzo» non contiene se non un fugacissimo accenno all’argomento qui trattato: si veda sopra p. 34 sg. [Ed.].