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42 i - scritti vari dal 1796 al 1798


CAPITOLO SECONDO

I

Corre per le bocche di tutti la massima de’ moderni politici: che un popolo povero possa difficilmente far argine alle forze de’ nemici, mancandogli i mezzi di procacciarsi difesa. Quanto sia da valutarsi questa sentenza, non so. Certo che un popolo povero, come abbiamo osservato di sopra, non alletta l’avarizia d’un conquistatore. Se nondimeno, per far fronte alle invasioni nemiche, fa di mestieri piú oro che braccia, credo che la ricchezza del popolo, considerata per individui, sia ugualmente dannosa, o inutile per lo meno, e che, in questo caso, debba reputarsi la ricchezza del pubblico piú che quella degli individui. Ma di questo piú sotto. Appoggiano i saggi moderni i loro principi alla caduta del regno di Francia e della repubblica di Venezia: senza avvedersi che, quando i francesi hanno atterrito tutti i re coalizzati, non erano niente piú ricchi di prima, anzi estenuati assai piú, e che appunto la Rivoluzione ebbe origine dalla povertá dell’erario e dalle ricchezze degli individui; e che la repubblica di Venezia cadde perché, deviando dal suo antico costume che l’ha resa, di piccola, grande, ricca e temuta, cercò di aver parte nelle guerre (giacché, attesa la sua situazione, non poteva esentarsi) piú col denaro che con le armi, di modo che, sprovvista tutto ad un tratto, cadde infingardamente, appunto perché confidò piú sull’altrui avarizia che sul proprio valore. Adunque sembra che l’indipendenza nazionale non consista nelle ricchezze de’ cittadini, ma nella finanza generale e nella pubblica forza. Dirò di piú: la ricchezza de’ cittadini è affatto contraria alla libertá, e quindi all’indipendenza.

Senza parlar di Licurgo e della legislazione spartana, della quale farem motto in altre occasioni, io mi contenterò di gettar un’occhiata sugli ultimi ateniesi, quando i potenti con alcune