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ultime lettere di jacopo ortis 317


29 maggio, a sera.

Fuggir, dunque, fuggire: ma dove? Credimi, io mi sento malato: appena reggo questo misero corpo per potermelo strascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhi divini, e bere un altro sorso di vita, forse ultimo! Ma senza di ciò vorrei piú questo inferno?

Oggi l’ho salutata per andarmene a desinare: sono partito, ma non poteva scostarmi dal suo giardino, e (lo credi?) la sua vista mi dá soggezione. Vedendola poi scendere con sua sorella, ho tentato di tirarmi sotto una pergola e di fuggirmene, La Isabellina ha gridato: — Viscere mie, viscere mie, non ci avete vedute? — Colpito quasi da un fulmine, mi sono precipitato sopra un sedile: la ragazza mi s’è gettata al collo, carezzandomi e dicendomi all’orecchio: — Perché piangi? — Non so se Teresa m’abbia guardato: sparí dentro un viale. Dopo mezz’ora tornò a chiamare la ragazza, che stava ancora fra le mie ginocchia, e m’accorsi che le sue pupille erano rosse di pianto. Non mi parlò, ma mi ammazzò con un’occhiata, quasi volesse dirmi: — Tu mi hai ridotta cosí misera!

2 giugno.

Ecco tutto ne’ suoi veri sembianti. Ahi! non sapeva che in me s’annidasse questo furore, che m’investe, m’arde, mi annienta, eppur non mi uccide. Dov’è la natura? Dov’è la sua immensa bellezza? Dov’è l’intreccio pittoresco de’colli, ch’io contemplava dalla pianura, innalzandomi con l’immaginazione nelle regioni dei cieli? Mi sembrano rupi nude, e non veggo che precipizi. Le loro falde, coperte di ombre ospitali, mi son fatte noiose: io vi passeggiava un tempo fra le ingannevoli meditazioni della nostra debole filosofia. A qual pro, se ci fanno conoscere le nostre infermitá, né porgono i rimedi da risanarle? Oggi io sentiva gemere la foresta ai colpi delle scuri; i contadini atterravano i roveri di duecento anni: tutto père quaggiú! tutto.