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290 iv - seconda edizione delle


che ad ogni minuto s’accorcia, e che pure que’ meschini se la vorrebbero persuadere immortale.

Eccoti con l’usato disordine, ma con insolita pacatezza risposto alla tua lunga affettuosissima lettera. Tu sai dire assai meglio le tue ragioni: io* le mie le sento troppo; però paio ostinato. Ma, s’io ascoltassi piú gli altri che me, rincrescerei forse a me stesso; e nel non rincrescere a sé sta quel po’ di felicitá che l’uomo può sperar su la terra.

3 aprile.

Quando l’anima è tutta assorta in una specie di beatitudine, le nostre deboli facoltá, oppresse dalla somma del piacere, diventano quasi stupide, mute e incapaci di ogni fatica. Che s’io non menassi una vita da santo, ti scriverei con un po’ piú di frequenza. Se le sventure aggravano il carico della vita, noi corriamo a farne parte a qualche infelice, ed egli tragge conforto dal sapere che non è il solo condannato alle lagrime. Ma, se lampeggia qualche momento di felicitá, noi ci concentriamo tutti in noi stessi, temendo che la nostra ventura possa, partecipandosi, diminuirsi; o l’orgoglio nostro soltanto ci consiglia a menarne trionfo. E poi sente assai poco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi sa troppo minutamente descriverla. Frattanto tutta la natura ritorna bella cosí quale dev’essere stata quando, nascendo per la prima volta dall’informe abisso del caos, mandò foriera la ridente aurora d’aprile; ed ella, abbandonando i suoi biondi capelli su l’oriente e cingendo poi a poco a poco l’universo del roseo suo manto, diffuse benefica le fresche rugiade e destò l’alito vergine de’ venticelli, per annunziare ai fiori, alle nuvole, alle onde e agli esseri tutti, che la salutavano, la comparsa del Sole: il Sole! sublime immagine di Dio; e luce, anima, vita di tutto il creato.