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138 ii - ultime lettere di iacopo ortis


Son io debole forse, Lorenzo? Che il cielo non ti faccia mai sentire la necessitá della solitudine, delle lagrime e di una chiesa!

In questa mattina, oppresso da una febbre piú ardente, ricadde a letto. Teresa mi aveva scritto:

Noi perderemo il nostro amico... Immaginatevi l’imbarazzo e il dolore in cui mi trovo... Mi duole profondamente nell’anima, ma... purtroppo io non vedo che un solo rimedio! Vi scongiuro, usate di tutti i mezzi dell’amicizia per determinarlo a partire.

Inferocivano allora in Italia con piú vigore le turbolenze. Non v’era piú legitima autoritá. L’anarchia vi regnava. Non leggi, ma tribunali onnipotenti; non accusatori, non difensori, bensí spie di pensieri, delitti ignoti, pene rapide, inappellabili. I piú sospetti gemeano in carcere: gli altri, benché di antica ed onesta fama, tratti di notte dalle proprie case, legati dai sgherri, trascinati ai confini, abbandonati alla ventura senza l’addio de’ congiunti, destituiti di sostanze e di umano soccorso. Per alcuni altri l’esilio, scevro da questi modi violenti ed infami, fu somma clemenza. Ed io pure, tarda ma non ultima vittima, vo da piú mesi errando profugo per l’Italia, e volgendo senza niuna speranza gli occhi lagrimosi alle sponde della mia patria.

In questo tempo io confidava nella mia oscuritá, ma temeva altrettanto per la fama di Iacopo: la sua partenza gli era perciò necessaria doppiamente. Ma, non avendo io potuto né con ragioni né con preghiere distorlo dalla sua passione, la rispettava tacendo; e, dubitando dall’altra parte che il mio consiglio gli fosse sospetto, ricorsi a sua madre, e, mostrandole l’imminente sciagura del figlio, attesi li difficili tempi, la indussi, quantunque desolata e piangente, a scrivergli di cercar intanto un asilo in altro paese. E ne riescii, poiché la materna pietá accrebbe il pericolo col fervor de’ consigli.

La lettera fu inviata con un fidato messo, perché si dubitava che non venisse violata la secretezza delle lettere. Giunse ai colli Euganei la sera de’ 30 maggio, e trovò Iacopo ancora