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lettera xxxvii 129


Il contadino proseguiva: — Vi ho fatto villania, ma io non vi conosceva. Que’ lavoratori, che tagliavano il fieno ne’ prati vicini, mi vi hanno avvertito.

— Non importava, buon uomo. Come va il frumento quest’anno?

— Bene;... ma vi prego, caro signore, scusatemi: non vi conosceva.

— Buon uomo, o conoscendo o non conoscendo, non offendete ingiustamente niuno, perché correte sempre pericolo o di provocare il potente o di maltrattare il debole. Riguardo a me, potete starvene in pace.

— Dice bene il signore: Dio gliene renda il merito, — levandosi il cappello e partendo.

Intanto? Crescono ogni giorno i martiri perseguitati dal nuovo usurpatore della mia patria! Quanti andranno errando o profughi o esiliati, senza il letto di poca erba o l’ombra di un ulivo!... Dio lo sa! Lo straniero infelice è cacciato perfino dalla balza dove le pecore pascono tranquillamente.

LETTERA XXXVII

14 maggio.

S’io fossi pittore, qual ampia materia al mio pennello! L’artista, immerso nell’idea deliziosa del bello, addormenta, o mitiga almeno, tutte le altre passioni. Ma... se anche fossi pittore? Ho veduto ne’ pittori e ne’ poeti la bella, e talvolta anche la schietta natura; ma la natura somma, immensa, inimitabile non l’ho veduta dipinta mai. Omero, Ossian e Dante, i tre maestri di tutti gli ingegni sovrumani, hanno investito la mia fantasia ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldissime lagrime i loro versi, e ho adorato le loro ombre divine, come se le vedessi, assise su le vòlte eccelse che sovrastano l’universo, a dominare l’eternitá. Pure... gli originali, che mi vedo dinanzi, mi riempiono tutte le potenze dell’anima; e non oserei, Lorenzo..., non oserei, se anche si trasfondesse in me il genio di Michelangelo, tirarne