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lettera xxxi-xxxii 121


ambizione! Ma il tuo cuore, o Lauretta, è fatto per la schietta natura. — M’asciugo gli occhi e torno, sul far della notte, alla mia casa.

Che fai tu frattanto? Torni errando lungo le spiagge e porgendo inni e lagrime a Dio! Vieni! tu corrai le frutta del mio giardino; «tu berrai nella mia tazza, tu mangerai del mio pane». Se tornerá il tuo piccolo cane, io ne prenderò cura, perché non vada smarrito per le campagne. Quando si risveglierá il tuo tormento, e lo spirito sará vinto dalla passione, io ti verrò dietro per sostenerti in mezzo al cammino e per guidarti, se ti smarrissi, alla mia casa; ma ti verrò dietro nascostamente, per lasciarti libero almeno il conforto del pianto. Io ti sarò padre, fratello...; ma il mio cuore..., se tu sapessi! il mio cuore...

Una lagrima bagna la carta e cancella ciò che vado scrivendo.

LETTERA XXXI

2 maggio.

Il fratello del parroco mi chiese come stava mia moglie. Ho lasciato correre: — Sta bene. — E vostra figlia? — Mi sentiva scoppiare: finsi di correre verso Michele, che per accidente passava, come se volessi avvertirlo di qualche cosa.

Mia moglie? Eterno Iddio! Stendo le braccia e guardo il cielo e non oso né mormorare né piangere... Eppure!... E perché mi ha fatto conoscere la felicitá, se doveva desiderarla si ardentemente, e... perderne la speranza per sempre?

LETTERA XXXII

4 maggio.

Hai tu veduto dopo i giorni della tempesta prorompere fra Lauree nuvole dell’oriente il vivo raggio del sole e riconsolar la natura? Tale per me è la vista di questa donna. Discaccio