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lettera xxvii 113


chiuse. Il ragazzo, per far ciò ch’era solito di far tutte le sere, temendo del mal tempo, venne a rapirci lo spettacolo della natura adirata; e Teresa, che stava sopra pensiero, non se ne accorse e lo lasciò fare.

Le tolsi di mano il libretto e, aprendolo a caso, lessi:

«La tenera Gliceria lasciò su queste mie labbra l’estremo sospiro! Con Gliceria ho perduto tutto quello che poteva mai perdere. La sua fossa è il solo palmo di terra ch’io degni di chiamar mio. Niuno, fuori di me, ne sa il luogo. Io l’ho coperta di folti rosai, i quali fioriscono come un giorno fioriva il suo volto, e diffondono l’odore soave che spirava il suo seno. Ogni anno nel mese delle rose io visito il sacro boschetto. Mi assido su quella tomba e... sto meditando. Tal tu fioristi un dì! Prendo a spicciolare una rosa e ne sparpaglio le foglie... Rammento quel dolce sogno dei nostri amori: una lagrima stilla su l’erba che spunta sulla sua sepoltura e appaga l’ombra amorosa».

Tacqui. — Perché non leggete? — diss’ella con un sospiro. Io rileggeva; e, tornando a proferir nuovamente «tal tu fioristi un dì!»..., la mia voce soffocata s’arresta: una lagrima di Teresa gronda su la mia mano, che stringe la sua...

LETTERA XXVII

17 aprile.

Ti risovviene, Lorenzo, di quella magretta che villeggiava, quattr’anni addietro, appiè di queste colline, e che (perch’era innamorata del nostro Olivo P*, il quale per la sua povertá non potè ottenerla in isposa) si ridea della boria della sua ricca famiglia? Quante grazie da noi si rendevano alla madre natura, perché, fra tanti suoi figli appestati dalla societá, si compiaceva di preservar tratto tratto qualche sua creatura prediletta. Or bene: oggi l’ho riveduta maritata a un nobile, nel cui cervello s’è fitto il capriccio di essere letterato.

Passando per le sue possessioni, venne a visitare Teresa, da le conosciuta l’anno scorso a Vicenza. Io mi sedeva per terra,