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lettera x | 95 |
Frattanto quella buona famiglia d’agricoltori ci aveva allestito un pranzo frugale; dopo di che, ci avviammo al ritorno. Teresa, passando un braccio nel braccio destro di Odoardo e l’altro nel mio braccio sinistro: — Io spero — ci disse — che fra pochi mesi torneremo noi tutti a rivisitare questa felice solitudine. — Si guardarono amendue sospirando, e l’aria del loro volto...: che posso dirti? Pareva che, abbandonando le soglie di quel dolce e profondo filosofo di amore, giurassero alla sacra ombra di serbarsi fedeltá fino al di lá del sepolcro; ed io, giá giá tutto estatico, stava per dire a quell’angelica donna: — Sono forse, o Teresa, le tue bellezze e la tua gioventú che fanno risplendere la puritá del tuo cuore, o l’anima tua divina diffonde invece su le tue forme piú di grazia, di freschezza e d’amore? — Ma
... giá stanche in occidente
piegava il sol le rote, e, raccogliendo
dalle cose i colori, all’inimica
notte del mondo concedea la cura.
Ed ella, del regai suo velo eterno
spiegando il lembo, raccendea negli astri
la morta luce, e la spegnea ne’ fiori.
Ed eccoci alfine, dopo due ore e mezzo di cammino, nuovamente alla villa.
Buona notte, Lorenzo. Sérbati questa lettera: quando Odoardo si porterá seco la felicitá, ed io non vedrò piú Teresa, né piú scherzerá su queste ginocchia la sua semplice figliuolina; in que’ giorni di noia, ne’ quali ci è caro perfino il dolore, rileggeremo queste memorie, sdraiati su l’erta che guarda la solitudine di Arquá, nell’ora che il dì va mancando. La certezza che Teresa è felice rasciugherá il nostro pianto. Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi, che ci ridestino, per tutti gli anni che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la rimembranza che non siamo sempre vissuti nel dolore.