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capitolo quinto 93


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Piú di mille n’ha morto, e gli altri caccia
e taglia e trunca e crudelmente svena;
volano gli elmi con le teste e braccia
mentre punte, fendenti e scarsi mena.
L’imperatore tuttavia minaccia
e batte col troncon; ma non raffrena
l’ira però, né rabbia di Milone,
che ’n tal error si manca di ragione.
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— Cessa, Milon — dicea, — non far, ti dico,
io tel comando, lascia di ferire;
se non, spera d’avermi tal nimico,
qual studia giorno e notte altrui punire! —
Milon cotal parole men d’un fico
allor potea stimar in quel schermire;
onde, non l’ascoltando, caccia quelli
giú per le scale in guisa de stornelli.
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Un sopra l’altro al fondo de le scale,
a vinti, a trenta vanno rotolando:
Milon sgombra di lor tutte le sale,
fin su la piazza i traditor cacciando;
dil che re Carlo in tanta furia sale,
perch’ei non ubbidisce al suo comando,
ch’allor allor gli fa bandir la testa,
s’andar giú del paese non s’appresta:
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un termine gli dá sol d’una notte,
perché giá Febo scampa con la luce.
Or que’ tapini per caverne e grotte
ove né sol né luna mai traluce,
sonsi appiattati e temen altre botte,
che Chiaramonte e quel sí fiero duce,
che li ha scemati piú di mezza parte,
ivi non li arda in tutto e li disquarte.