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selva terza 379


Eterna primavera qui verdeggia,
ché ’n le catene il Tempo giace altrove;
aprile quivi e marzo signoreggia,
né mai da l ’ombre zefiro si move,
per cui soavemente sempre ondeggia
l’altezza de colline e poggi, dove
pini, cipressi, querze, faggi, abeti
adombrano vallette e campi lieti.

Quivi onoratamente fui raccolto
da duo barbati e candidi vecchioni.
L’uno fu Enocco, e l’altro che, distolto
di terra, ascese in ciel fra spirti boni, [Helias.]
quando Eliseo videlo nel molto
foco volar a l'alte regioni.
Questi con lieto volto m’abbracciaro,
mostrando il mio advenir quant’ebber caro.

Vado fra loro poscia, lento lento,
favoleggiando verso il gran palaccio.
Ecco quegli angioletti, a trenta, a cento
lascian chi l’arpa, chi ’l danzar, chi ’l laccio,
e vengono assalirmi in un momento
con un soave intrico e dolce impaccio,
perché mi carcan gli omeri, la testa
di sua leggiera salma e fanno festa.

Entrato ne l’adorna ed ampia stanza
non men di quelle del signor mio bella,
bella e gioiosa for d’umana usanza
(qual oggi a Marmiròl si rinnovella,
e qual li ombrosi campi sovravanza
in Pietole sul chiaro Minzio, e quella
ch’entro l’antiqua terra di Gonzaga
mostrasi al viatore tanto vaga),