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376 caos del triperuno


Piantato dunque in terra un paradiso
da l’angiol fu di Dio detto «Fortezza»;
luoco non privo mai d’onesto riso,
de sòni, canti, giochi a gran dolcezza.
Quivi trovai pur anco l’aureo viso
di quel Iesú che l’amorosa frezza
nel cor m'immerse prima, e seco poscia
portollo, me lasciando in dolce angoscia.

Su ne le piú levate cime, donde
Febo riporta il mattutino giorno,
un monte, c’ha l’inaccessibil sponde
e cento millia passi volge intorno,
vidi che al ciel lunar il capo asconde
e par che tocchi i piedi a Capricorno.
Lá fui chiamato d’una nebbia scura:
— Vieni oggimai, o santa creatura! —

Suso mi porto, ed ecco alte muraglie
vidi luntano con quadrata cinta
serrar de poggi e campi e di boscaglie
una provincia in piú parti distinta.
Ma quello muro quasi mi abbarbaglia
la vista, dal suo lume resospinta,
mercé ch’era cristallo ed oro, intorno
di perle e tutte l’altre gemme adorno.

Or su per quel parete schietto e fino
vidi ch’avean Michel e Raffaele
(non l’urbinate, dico, o ’l fiorentino,
ch’or lascian dopo sé gran lode in tele)
depinto per mio specchio il fier destino
di Lucibello, a se stesso crudele,
che, bello troppo a se medemo, d’alto
prese co’ gli altri un smisurato salto.