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316 caos del triperuno


sconciate dal bono e santo proposito, ch’io sono certo delettarannovi li miei ragionamenti.

Limerno. Posciovi molto bene ascoltare, ma non voluntieri, se non mi parlate di qualche bella donna.

Triperuno. Or oltra, ché vi porgemo le orecchie.

Limerno. Assai men lunghe di quelle del suo asino.

FÚLICA

Stupefatto dunque Liberato, ch’un asino cosí qual uomo saputamente parlasse, gridando disse: — Oh che cosa è questa ch’io veggio e sento? dove son io? or dormo io ancora o son pur desto? Io, per quello me ne paia, non so se vedo quello che vedo, né so altresí se odo quel che odo. Sarei io mai un altro divenuto? Dimmi dunque, messer l’asino, come può egli essere che, essendo tu una bestia la quale di grossezza ogn’altra, quantunque grossissima ella si sia, avanzi, ora parli e ragioni non altrimenti che se uno saggio uomo fussi e molto avveduto? Questo è contra a la tua natura. Né di ciò è meno da maravigliare che se il fuogo freddo divenisse e piú non rescaldasse. E qual mai fia colui sí stolto e d’intelletto sí scemo e senza senno che, raccontandogli noi quello che ora con gli occhi de la fronte ne pare di vedere, non ci reputi ubbriachi ovver dormiglioni? Perché voluntieri io saperei se vano sogno è quello che io veggio o no. — Queste ed altre simiglianti parole udendo, messer l’asino schioppava tutto de la risa; ma aspettando poi il fine di quelle, poi ch’egli si tacque, cosí incomenciò:

— Estimava io assai sofficiente e bastevole testimonianza avervi potuto fare i vostri scongiuri allora quando per essi non mi mossi io punto, ma tutto immobile mi vedeste stare. Ma egli è altrimenti avvenuto che io avvisato non mi sono. Per la qual cosa nel rimanente di questo giorno, che fia poco, intendo io di dimostrarvi con vere ed aperte ragioni quello che voi vedete e udite non essere né vana spezie o sogno né favole né alcuno inganno. E ciò di leggero mi potrá venire fatto, dove voi vorrete con intento animo raccogliere tutte le mie parole. Però, quando