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selva seconda 311


LA ASINARIA

DIALOGO TERZO

FÚLICA, LIMERNO E TRIPERUNO

Fúlica. In poco frutto reuscirebbe lo mio ragionamento assai lungo, se primamente non mi movessi al sommo principio de tutte le cose, e pregarlo ch’egli si degni aprirvi gli occhi ed il core, giá tanto tempo fa cieco e da la veritade di lungo intervallo disgiunto.

Omnipotens pater, aethereo qui lumine circum
mortale hoc nostrum saepis ubique genus,
ut queat artificis tenebrarum evadere fraudes,
utve queat recti tramitis ire viam,
excipias animam hanc, usu quae perdita longo,
iam petit infernas non reditura sedes!

Limerno. Ah! ah! ah! ridi meco, Triperuno mio! vedi questo insensato come ha pregato non so che suo dio per me, come se altro iddio fusse piú di Cupidine da esser temuto e pregato.

Triperuno. Ascoltiamolo, caro maestro, che egli giá si leva da la orazione.

Fúlica. Ritrovandomi heri, per avventura, non molto luntano da la spelonca mia col mio fidelissimo Liberato, da me molto amato e aúto caro, avvenne che, vedendomi egli tutto nel viso maninconioso, di me tenero e pietoso divenuto, sí come colui che di benigno ingegno era e non poco mi amava, umilemente mi domandò la cagione per che sí tristo io fussi e penseroso e quasi tutto in uno freddo ed insensibile sasso tramutato. Ed appresso tanto mi pregò che insieme con esso lui in sin ad