Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/310

304 caos del triperuno


Limerno. Un asino, sí; tu ti maravigli dunque?

Triperuno. Ho ben io piú volte inteso queste donne aver possanza, con non so che unguenti, voltar gli uomini in becchi.

Limerno. Anzi, assai piú becchi fanno che castroni. Quanti oggidí conosco io, li quali giá per violenzia de suffumigi da queste maghe adoperati furono in bovi, buffali ed elefanti conversi!

Triperuno. Questo saria ben lo diavolo! Se questa Laura mi trasfigurasse in un becco, vorrebbemi piú oltra bene Galanta?

Limerno. Piú che mai.

Triperuno. Come? io sarei pur un becco?

Limerno. Ed ella una capra.

Triperuno. Cambiarebbe ancora lei?

Limerno. Che ’n credi tu?

Triperuno. Io giá comincio temere.

Limerno. Tien stretto.

Triperuno. Forse che non sa ella ancora chi sia lo autore?

Limerno. Tu sei pazzo persuadendoti una malefica non sapere quello che a tutta la corte giá divolgato leggesi.

Triperuno. Lasso! ch’io me ne doglio.

Limerno. Tu vi dovevi piú per tempo considerare e prenderne da me consiglio. [«Consilium post factum, imber post tempora frugum».]

Triperuno. Non l’ho fatto, in mia malora!

Limerno. Se tu sapessi la importanza di questo scrivere e lo mandar cosí facilmente a luce le cose sue, vi averessi meglio pensato; ché pagarei un tesoro di Tiberio, non mai ne gli occhi de tanti valentuomini una mia operetta scoperta si fusse.

Triperuno. Come farò io dunque, misero me? ch’io debbia un asino devenire?

Limerno. Or va’ piú animosamente! tu giá sei vòlto in fuga, e niuno ti caccia: non ti partirai da me se non bene consigliato e consolato. Ma pregoti, Triperuno mio, non t’incresca sotto l’ombra di quel platano corcarti, fin che io faccia la prova di alquanti versi con la cetra, da essere in questa sera da me recitati avanti la regina; e veramente assai averò che fare, se li quattro sonetti da lei richiesti aggradirla potranno.