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selva seconda 287


LIMERNO

Alluntanato è ’l sole, e noi qui manchi
del suo bel raggio (fan piú giorni) lassa.
Io, pur spiando s’altri quindi passa,
spesso alzo gli occhi, di mirar giá stanchi!
I’ dico, s’alcun passa, che rifranchi
noi d’esta valle del suo lume cassa,
narrando il suo ritorno; ma trapassa
con speme l’anno, e morte abbiamo ai fianchi. [«Quid non longa dies, quid non consumitis anni?» Mart.]
Sleguasi ’l tempo né pur anco appare
chi dica: — Annuncio a voi grande allegrezza:
ecco torna colei che ’l mondo abbella! —
Lasso! non so che piú mi speri, ché ella
per su que’ monti con Diana, pare,
va solacciando e noi qui giú non prezza.

LIMERNO

In quelle parti, ove di poggio in valle,
di valle in poggio va scherzando aprile,
madonna or giace e in atto signorile
sovente in l’erbe pon su’ fior le spalle.
Zefiro intorno baldamente válle
spirando in quella faccia, in quel gentile [«Forma bonum fragile est». Ovid.]
sino d’avorio schietto, e chiama vile
di Borea l’Orizia e biasmo dálle.
Talor ella si parte al loco, dove
giá di sua Laura sí altamente disse
colui che ’n rime dir ha ’l piú bel vanto.
Quivi s’inchina umile al sasso e move
a l'ossa ch’entro stanno un dolce pianto,
ch’Amor sul marmo di sua man poi scrisse.