Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/285


selva seconda 279


Un fermo scoglio d’onde non ha cura
né un stabil cuore di qualunque oltraggio,
ché fede intorno a lui piú allor s’indura.
Sol ne gli affanni si conosce il saggio,
lo qual, per ch’un bersaglio sia di sorte,
non parte mai dal cominciato viaggio.
Né di ferro minacce né di morte,
mentre animosamente spiega l’ale
di fede, mai paventa un uomo forte.
Però la forza lor in noi che vale?
Giá chi congiunse il ciel altrui non scioglie
perché non svaria mai corso fatale.
Lasciali pur empir lor empie voglie:
livido cuor sol di se stesso è pena,
e chi semina tòsco, tòsco accoglie.
Pingon in ghiaccio e solcan ne la rena,
e quelli de le pugna al vento danno,
che rodon la fidel nostra catena.
Ma tu la lor malizia, il loro inganno
impara di conoscer, e lor fraude,
ché bello è l’imparar a l’altrui danno.
Se ride ’l tuo nemico, se ’l t’applaude,
tu similmente applaudi e ridi ad esso,
ch’esser falso co’ falsi è somma laude.
Se ancora ti minaccia e morde spesso,
contienti d’ira, ché ti fia gran palma:
summa vittoria è ’l vincere se stesso.
Non dé’ turbarsi un’incolpevol alma,
s’ognor in lei piú l’odio si rinforza,
ch’un gir leal non sa peso né salma.
Ma se considri ben sua debil forza,
tu riderai di lor invidia ed onte:
ardor di paglie subito s’ammorza.
Sian dunque lor insidie occulte o cònte, [«Fides sanctissimum humani pectoris bonum est». Sen.]
osserva quelle e queste ridi e sprezza,
ché ’l bon nocchier, se tien la fronte a fronte
di sorte accortamente, mai non spezza.