Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/230

224 caos del triperuno


Oh, ben saggio colui che ’l suo dal mio
voler avrá diverso ne’ prim’anni
di nostra sí dubbiosa etade, ch’io
volendo scorsi ne’ miei stessi danni,
travolto in vie sí alpestri dal desio,
ch’anco ne porto il viso rotto e’ panni,
fin che mia sorte, poi che assonto in alto
m’ebbe, giú basso far mi fece un salto!

TRIPERUNO.

D e l’innocente ninfa l’aurea etade, [Pueritia.]
I l bel giardino, le colline, i fonti
V annosi omai, ché ’l tempo invidioso [«Dannosa quod non imminuit dies est». Hor.]
I n un istante quelli s’ingiottisse.

B andito dunque sol per l’altrui fallo,
E rrava quinci e quindi ove pur l’alma
N atura mi torcea con fidel scorta.
E ra quella stagion quando Aquilone, [Lex naturae, quae omnia in medium ponit.]
D a l’iperboree cime sibilando,
I n vetro i fiumi, in latte cangia i monti;
C ácciomi dentro un bosco tutto solo;
T anto vi errai, ch’al fine mi compresi
I n le capanne de’ pastori giunto.

R iposto s’era Febo drieto un colle,
E la sorella con sue fredde corna
G iá percotea le selve ed ogni ripa.
V ago di riposarmi su lor fronde,
L a porta chiusa d’una mandra i’ batto:
A l sesto e nono cenno fummi aperto. [Pulsanti aperitur, Evangelio teste.]

S tarsene quivi ben rinchiusi e caldi
V idi quei pegorari, al foco intorno,
B ere acque dolci e pascersi de frutta.