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210 caos del triperuno


anzi leggiadre, al numerabil sòno
di diece corde, mosser una danza,
dandosi un bascio ad ogni sbalzo nono. [Novem doctrinae atque scientiae nodos intellige sub novem musarum figura. Non sine maxima proportione et harmonia orbes coelestes invicem locati sunt.]
Quivi Almafisa venne con l’onranza,
fra mille ninfe d’arbori e de fiumi,
ché ognun concorre a quella concordanza:
né men scherzan in cielo e’ chiari lumi,
nel mar e’ pesci, e ’n cielo quei dal volo,
le fiere in terra e i serpi ne’ lor dumi.
Stavami ne le fascie stretto e solo,
sí come l’augelletto, il qual distende
l’ale, ma non s’innalza e n’ha gran dolo.
Chi su, chi giú quel tutto che s’intende
da l’uom, se non a pieno, almen in parte,
va, vien, traversa, corre, monta e scende.
— Ciascun mai d’Omonía non si diparte! — [Concordantia.]
cosí la cantatrice udi’ chiamare,
che i passi altrui col canto suo comparte.
Io che l’errante macchina danzare,
per quel dolce concento, vidi al moto [Deus noster gloriosus omnia in numero, pondere et mensura creavit.]
universal e poi particolare,
di quei legami tutto mi riscuoto,
come colui che lungo indugio annoi,
dovendosi asseguir qualche suo voto.
Svelsi di quelle scorze un braccio e poi,
con quella svelta man che i nodi sterpe,
tanto cercai ch’usciron ambi doi.
E con quel modo ch’un immondo serpe,
vedendo, ov’era ’l ghiaccio, nato il fiore,
si sbuca lieto d’un’angosta sterpe,
dove si spoglia il vecchio corio fore
tutto d’argento, ed or fassi piú cinte [«Nihil non tam proprium humanitatis est quam remitti dulcibus modis astringique contrariis». Boët.]
del ventre al capo ed or segue ’l suo amore;
tal io, poi che le spoglie risospinte
m’ebbi d’addosso, per danzar su m’ersi;
ma fûrno dal desio mie forze vinte.