Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/198

192 caos del triperuno


ch’avrai con esso teco e non altrove, [Summa et omnium difficillima est victoria sui.]
e per vincer leoni, tigri ed orsi,
vincendo te, minori son le prove! —
I' non mil fei ridir, ma via trascorsi,
qual timido cavallo che s’arresta
ne l’apparir d’un’ombra e sta su’ morsi;
poi, vòlto in fuga, soffia ad alta testa,
ma chi gli sede addosso presto il torna,
stringel ai fianchi e fra l’orecchie il pesta;
ond’egli per le bòtte si ritorna
in quella parte onde lo smosse l’ombra,
di passo no, ma corre e non soggiorna.
Traggomi drento, al fine, ove me ’ngombra [Hic uterum matris intelligit.]
notte ch’ancor piú m’ebbe ottenebrato,
in luogo cui la terra intorno adombra.
Ed io ne stetti non d’abisso al lato,
ma in centro d’ombre grosse denso e folto,
qual talpa preso in gli occhi e smemorato.
Cosí piú mesi in quella tomba involto, [«Decem meusium tempore coagulatus sum in sanguine». Sap.]
io, pronto spirto ne la carne inferma,
stetti non pur prigione, ma sepolto,
fin che, o Natura, l’opra tua fu ferma.

MELPOMENE.

Mentre piangendo l’alte strida ed urli,
sorelle mie, sí duramente innalzo
(da me sol viene il tragico costume), [«Melpomene tragico proclamat moesta boatu». Virg.]
lasciáti i crin al vento, ché ridurli
qui non bisogna in trezza né ’l piè scalzo
guidar per vaghi fiori e verdi piume
de’ prati lungo al fiume,
anzi, sdegnando quella piaggia e questo
poggetto ameno, statine qui meco
in solitaro speco,