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In quella istessa notte (o crudel rabbia!)
cadde Milone in tanta bizzaria,
che cento maganzesi, come in gabbia,
venne assaltare dentr’un’ostaria;
né vi si parte mai fin che non li abbia
mandati tutti a pezzi in beccaria:
eravi Manfredon, padre di Gano,
cui trasse il core di sua propria mano;
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e ’n la medesma notte sí lo affise
nel mezzo de la piazza con la testa,
e un breve scritto sopra quel li mise,
che dice: «Ancor il tuo, Carlo, mi resta!».
Oltra di questo in cotal notte uccise
un capitan chiamato il gran Tempesta,
lo qual con la sbirraglia in men d’un’ora
cacciò Milon di questo mondo fora.
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Omai di sangue sazio in quell’istante
a vinti suoi compagni dá combiato,
fra’ quali v’è Terigi, quel bon fante,
che ’l giorno in sala sempre al fido lato
stette del suo patron a Carlo avante,
ed or per ubedirlo s’è spiccato.
Costui fu dopo a Orlando sempre caro
e di sue cose fido secretaro.
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Milon si parte solo e gli altri lassa,
né mai per lor preghiere seco i volse;
sotto ’l regal palazzo intorno passa,
e drieto a quel per un sentier si volse
fin che, di pietre e sassi ad una massa
venuto, di salirvi cura tolse;
montavi arditamente a l’alta cima,
e come entri ’n palazzo seco stima.