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Le triste madri scapigliate vanno,
chi qua fuggendo via, chi lá seguendo:
fuggon, chi ’l dolce pegno in sino anc’ hanno
o tutto o mezzo morto o intier vivendo:
seguon chi l’ han perduto, e piagner fanno
le asciutte pietre al pianto lor, vedendo
chi ’l suo troncar per mezzo, chi scannarlo,
chi come vetro al marmore schiacciarlo.
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Vedesi alcuna d’esse con man destra
strigner quella d’un uomo armato presa,
ma dietro il figlio tien con la sinestra,
e quanto donna può fa sua difesa.
Si vede un’altra come lonza destra
pel morto leoncin pigliar contesa
con chi Pha spento a pugna, calci e denti;
né foggia di mort’è che la spaventi.
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Tal è che, la ferita d’una spanna
mirando in ventre al suo, quel corpicello
afferra dal duol vinta, e come canna
il va spezzando in capo a questo, a quello;
tal che co’ denti un di que’ cani assanna,
e mentre l’una man vieta ’l coltello,
l’altra nel collo il tien fin che rimaso
lascialo senza orecchie o senza naso.
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Ma la piú parte a suon di man e petti,
errando di qua e lá com’ebre bacche,
tornan urlando ai viduati tetti
ove di lacrimar non son mai stracche:
altre fuor la citade per negletti
sentier van via muggiando come vacche,
ch’essendo prive di lor care salme,
non han piú in petto cor, non han piú alme.