Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/300

5 *
Fa bandir genti ed arme a suon di corno
(ché ’l corno è suo, di Michael la tromba);
scuote de l’ombre rie tutto ’l contorno
quell’aspro tuon, che qua, che lá rimbomba.
Vedesi orribilmente d’ogni intorno
sbucar demòn di questa e quella tomba:
convengon tutti a la terribil corte,
fin che fu pieno il nido de la morte.
53
Portano seco l’arme, eli’ infinite
vittorie a loro hann’acquistate in terra;
suoi lacci, panie, reti e caiamite,
oncini e lime a noi mortai fan guerra.
A che stupir, se di perdute vite
un mondo ne le grotte lor si serra?
Ma giunti al fine ornai son del suo regno:
però di far tumulto fan dissegno.
54
Era degli piú altieri giá ’l collegio
posto a seder ne’ lor ferrigni scanni:
nel mezzo è Lucifèr, sul trono regio,
con suoi d’ardenti fiamme intesti panni.
Costui, come nel ciel fu giá l’egregio
di beltá spirto ed ebbe d’oro i vanni,
or è maggior degli dannati, e sozzo
piú che sozzura nel tartareo pozzo.
55
Vedendosi egli intorno il numer grande
degli angeli cornuti poco allegri,
l’ale come due vele in largo spande,
e scuopre bianche sanne fra duoi negri
gonfiati labri, e con parole blande
non men d’un rugger d’orso, ai tristi ed egri
soldati, mentre il fuoco acceso il coce,
alzò la piú che mai superba voce: