Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/287

LIBRO DECIMO

1
Giunto a le ripe del Giordan per bere
del suo bel vivo e lucido cristallo
(lucido piú non giá, che l’empie fiere
gli hanno de le sacr’onde rotto il vallo),
miro le bianche facce in brutte e nere
cangiarsi tutte, e ’n bruno il verde e giallo,
l’aer in nebbia, il giorno in notte, il canto
de le figliole d’Israelle in pianto.
2
Ombrosi colli e voi, piaggette amene,
eh ’amene però fosti a di piú grati,
non odo, aimè, piú i vostri fonti e vene
ir mormorando giú per lieti prati.
Monti aspri, orrendi boschi e secche arene
mi veggo intorno e campi abandonati ;
e s’un fioretto a caso vi è rimasto,
quel giace chino, impallidito e guasto!
3
Ma quello innamorato e bel pastore,
che l’armento pascea di tener’erbe,
non par ch’ardendo canti piú d’amore
ver’ la sua sposa e gli agni suoi le serbe.
Ove n’è gito? Aimè! ferito muore,
muore ferito, aimè! da le superbe
lupe distratto, e la dolente madre
cercando il va per selve orrende ed adre !