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Mentre dicea quest’ultime parole
Colui che ’n cielo tuona e i venti sferra,
Colui che rompe il mar, ch’oscura il sole,
ch’entra ’n gli abissi e scòtevi la terra,
Colui che fa, disfa, che vuol, disvuole
ciò che gli par lá sii, qua giú, sotterra,
Colui che sopra i re nud’ha la spata,
tolse per man d’un servo una guanciata!
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Si veramente non parrammi strano,
Padre del ciel, s’oltraggio tal comporti!
Non dico ch’una mercenaria mano
abbia con quanti diti, tante morti;
ma i lupi ora che fan? ch’a bran a brano
quel pontefice pien di mille torti
non squarciali ad essempio altrui, che caro
un atto ebbe a veder si temeraro?
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Dionisio e l’altra infamia di Ciciglia,
che cosse l’uom nel bue del ferro ardente,
Neron, Mezenzio e quanti mai vermiglia
féron del ciel la faccia crudelmente,
qui rallentata non avrian la briglia
de l’ impietá, ch’alcun cosi vilmente
permettesser giamai negli occhi loro
fosse battuto senza altrui martoro.
Stette, a quell’empia man, cosi la faccia
di quel vittorioso ed umil Agno
come sta vecchia palma, ove s’abbraccia
col ciel Idume, al Borea ed al compagno;
anzi chi rende al mar quella bonaccia
c’ha fontana tranquilla o cheto stagno,
tranquillo e cheto in gli occhi a quelli fuore
fece apparir com’era dentro il core.