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E poi che ’n queste ripe un tempo stette,
parte con loro, parte con lui solo
(perché piú giorni libertá lor dette,
spartendo a duoi a duoi quel picciol stolo
per predicar le cose a lor giá dette,
poi da demòn sciór Tossa e d’ogni duolo),
tutti gli accolse in un drapello e disse:
— S’appressa il tempo che ’l mio Padre affisse.
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A la citá giremo de la pace
per soffrir de la guerra il gran flagello.
L’uman Figliuolo, come agnel che tace
in potestá di chi gli tonde il vello,
fia mutol a lo strazio del rapace
stolo de’ lupi, al quale il suo fratello,
ch’or prende i cibi dolci seco a lato,
darallo ad esser vinto e flagellato.
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Quel gioco fia di lui, quel scherno e strazio
eh’ è de la lepre in bocca del leone,
eh’ un scherno se ne fa per lungo spazio
quando con dente quando con Tungione,
ma, di piú macerarlo fatto sazio,
stringe il fier morso e ’n ventre si ’1 ripone;
cosi, poi le guanciate, sputi e piaghe,
convien che di sua morte altri s’appaghe.
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Ma duro non vi paia di patire
Tatto che da mortai dett’è «fortuna»:
non va per caso ciò che Dio fa gire,
né sta ciò che fa star per sorte alcuna.
Qual è dunque del Padre tal desire
in questa vita abbiate o chiara o bruna,
ch’andati sian tre di, tal, sendo morto,
vedrete ravvivato e ’n piè risorto. —