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canto quarto. 77

Qual fui! qual sono! abbandonato, e cieco.
420Non più compagno degli eroi passeggio,
Più quell'Ossian non sono. A me, donzella,
Quelle lagrime a me, ch'io con quest'occhi
Di tutti i cari miei vidi le tombe.
     Nella confusa mischia il re trafisse
425Guerriero ignoto. Ei la canuta chioma
Per la polve traendo, i languid'occhi
Ver lui solleva. Il ravvisò Fingallo,
Ed — Ahi, gridò, tu di mia man cadesti
D'Aganadeca amico? io pur ti vidi 19
430Gli occhi molli di lagrime alla morte
Dell'amata donzella, entro le stanze
Di quel padre crudel: tu de' nemici
Dell'amor mio fosti nemico, ed ora
Cadi per la mia mano? Ullin, la tomba
435Ergi all'estinto, ed il suo nome aggiungi
D'Aganadeca alla canzon dolente.
Addio donzella dell'arvenie valli
Abitatrice, a questo cor sì cara.
     Giunse all'orecchio a Cucullin nel cupo
440Speco di Cromla lo scompiglio, e 'l tuono
Della turbata pugna: a sè Conallo
E Carilo chiamò. L'udiro i duci;
Presero l'aste: ei della grotta uscìo,
E a mirar s'affacciò: veder gli parve
445Faccia di mar rimescolato e smosso
Dal cupo fondo, che flagella e assorbe
Con bollenti onde l'arenoso lito.
A cotal vista Cucullino a un punto 20
S'infiammò, s'oscurò: la mano al brando,
450L'occhio corre al nemico: egli tre volte
Si scagliò per pugnar, tre lo rattenne
Conàl: — Che fai, sir di Dunscaglia? ei disse,
Fingallo è vincitor; già tutto ei strugge,
Tutto conquide ei sol, non cercar parte
455Nella fama del re, ch'è tardi e vano.
     — E ben, quei ripigliò: Carilo, vanne
Al re di Selma, e poichè spento in tutto
Sia il rumor della pugna e che dispersa
Fugga Loclin, qual dopo pioggia un rivo,
460Seco t'allegra; il tuo soave canto
Gli lusinghi l'orecchio; innalza al cielo
L'invincibile eroe. Carilo, prendi,
Reca a Fingàl questa famosa spada,
La spada di Cabàr, chè d'innalzarla
465Non è la man di Cucullin più degna.
Ma voi del muto Cromla ombre romite,
Spirti d'eroi che più non son, voi soli