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che gliene diede in quella occasione. Con ciò egli induce Svarano a vergognarsi di odio e rancore con una persona, che già da gran tempo l’avea provocato in affetto e in benevolenza. Finalmente mette in opera un tratto di generosità singolare, che doveva espugnar l’animo il più indomabile. Svarano era vinto: Fingal era padrone della sua vita e della sua libertà. Ma questi si scorda della sua vittoria: suppone che Svarano sia libero come innanzi la battaglia, e propone per soddisfarlo un nuovo cimento personale, come se il passato non dovesse decidere. Svarano non è un nemico vinto, ma un ospite nobile, a cui si desidera di far onore. Se Dionigi d’Alicarnasso avesse avuto da analizzare discorsi di questo genere, egli avrebbe fatto ben miglior uso della sua critica, di quello che nello sviluppare lo strano artifizio d’Agamennone nel II dell’Iliade.

(4) La generosità di Fingal va operando. Svarano non è più quel brutale che rispose con tanta asprezza a’ cortesi inviti di Cucullino e di Fingal. Un confronto sì luminoso dovea farlo troppo arrossire della sua natura. La rozzezza di Svarano s’ingentilisce, e la sua ferocia si va cangiando in grandezza.

(5) Svarano rammenta più volentieri la zuffa di Malmor che la presente. Abbiam veduto nel principio del poema, ch’egli volea far credere di non esser rimasto inferiore in quella battaglia. Ma dalle sue stesse espressioni si scorge che questa non era che un’illusione del suo amor proprio. La straordinaria gentilezza di Fingal è vicina a strappargli di bocca la confessione della sua inferiorità; ma egli si spiega in un modo alquanto indiretto ed equivoco. La virtù sta per vincerla; ma in natura fa ancora qualche resistenza.

(6) Gli eroi de’ poeti greci erano molto lontani da questi magnanimi sentimenti. Achille nel XXIV dell’Iliade, avendo reso a Priamo il corpo di Ettore, fa la sue scuse coll’ombra di Patroclo per aver usato questo atto di pietà; e potendo allegare per sua giustificazione, se non i sentimenti naturali d’umanità, almeno il comando di Giove, e l’esortazioni di sua madre Tetide, egli lascia questa ragione plausibile (giacchè pur credea d’aver bisogno di scusa) e adduce unicamente quest’altra, che Priamo gli avea fatto dei doni che non erano da dispregiarsi. Havvi un luogo nelle Supplici d’Euripide che ha relazione più piena con tutta la condotta di Fingal in questa guerra, e ch’è un esempio luminoso della somma differenza che passava tra lo spirito degli antichi poeti greci, e quello di Ossian. Adrasto re di Argo ricorre personalmente a Teseo re d’Atene, affine d’indurre col suo soccorso i Tebani a dar sepoltura agli uccisi nella passata guerra. Te-