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8 un nuovo poeta romanesco.

il romano, son sempre tanto varie, ricche e mutabili, che è ancora possibile ritrarle da nuovi aspetti, anche continuando la maniera del Belli. Ma, prima di tutto, questa maniera bisogna impararla, ed è cosa difficilissima; poi, bisogna scansare il pericolo che il modello ti faccia violenza e usurpi il luogo delle impressioni immediate e vergini; e infine, quando siano vinte queste due difficoltà, ne resta sempre una terza, vale a dire, che il modello faccia violenza al giudizio de’ lettori, i quali spesso lo vedono anche dove non è. In questi scogli naufragarono fin qui tutti quelli che, dopo il Belli, scrissero in romanesco. Uno solo accenna di voler arrivare in porto felicemente, e, per una singolare combinazione, è l’ingegnere Luigi Ferretti, fratello della defunta moglie dell’unico figlio, pur esso defunto, del Belli, e tutore degli orfani nipoti di questo.

Padre del nostro Ferretti fu quel Giacomo, che scrisse una quantità straordinaria di prose e poesie d’ogni genere e più di ottanta melodrammi per il Rossini, il Donizetti, il Coppola, i fratelli Ricci, il Mayr e altri maestri, e che Massimo D’Azeglio1 mette tra gli «alti e belli ingegni» della società sveglia, piena di vita e di movimento,» che fioriva a Roma nel 1814. «Alla generazione di quel-


  1. I Miei Ricordi, cap. IX.