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sonetti. | 157 |
CX
LET.
Com’è mi’ moje? Ch’ho da dì, fratello?
Nun te dico che sii 'na donna rara,
Ma tanto va:1 quer che si è ch’è avara,
Avara da spaccàtte er quatrinello.
Càpita quarchevvòrta un poverello
A chiede un sòrdo? A sentì la cagnara
Che je fa lei! s’arrabbia, e je s’affiara
Addosso puro2 co’ lo stennarello.3
Pe’ un sòrdo lei se caccerebbe l’occhi,
Farebbe a piede arméno dieci mija,
Leverebbe la pelle a li pidocchi....
Va be’ che lei lo fa pe’ la famija,
Ma un giorno o l’antro lei, pe’ fa’ bajocchi,
Sarìa capace d’affittà su’ fija.
- ↑ Ma in complesso non c’è male, può passare.
- ↑ Pure, anche.
- ↑ Stennarello, da stènne (stendère), perchè serve a distender la pasta. Qualche autore si provò a farlo italiano, chiamandolo stenderello. Altri lo chiamarono mattero o spianatoio. Ma il fatto sta, che a Firenze si chiama matterello; nel Senese, nelle Marche e nell’Umbria, lasagnólo (che il Fanfani, nel Voc. della Ling. it., per mera svista, dà come dim. di lasagna); in altri luoghi di Toscana, ranzagnólo e maccheronaio; a Forlì, sciadùr; a Parma, canèla; a Genova, cannello; a Verona, méscola; a Torino, lasagnér; a Napoli; laganatura;