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un nuovo poeta romanesco. 5

Volendo dunque rappresentare un tal popolo, la forma dialogica è quasi una necessità; perchè que-


    stesso, qualche tempo prima di morire, erano stati affidati a monsignor Tizzani, che con altri amici lo aveva consigliato di non distruggerli. Pare che il Belli pensasse: - Se un giorno o l’altro qualcheduno li pubblica, io non ci ho colpa . — E con questa curiosa restrizione mentale, voleva salvar capra e ca voli. Poco dopo la sua morte, il Tizzani ebbe il buon senso di restituire il prezioso deposito al figlio di lui, Ciro, cancellando soltanto in pochi sonetti qualche parola che gli era parsa troppo acerba contro la religione. E credo che fosse il Tizzani stesso quello che si prese la cura di ridurne ad usum Delphini parecchi altri, affinchè la censura permettesse che si pubblicassero nell’edizione romana. Ora gli autografi sono in mano di Luigi Ferretti .
        Nello scritto precitato, lo Schuchardt esamina da par suo il volume de’ Duecento Sonetti, e in un punto solo dissente da quanto io vi discorsi intorno al Belli e alla Satira in Roma. Egli ammette che il Belli, da giovine, non fosse reazionario; non crede però che fosse un nemico ardente del Papato temporale e spirituale: suppone piuttosto che avesse un po’ di quella indolenza politica, comune a quasi tutti i Romani, e che somigliasse a’ suoi trasteverini, com’io li ho descritti, cioè che portano nella stessa tasca coltello e corona, bestemmiano la Madonna e si cavano il cappello alla sua immagine, mettono in ridicolo il papa e al tempo stesso gli s’inginocchiano da vanti. Lo scopo del Belli fu di ritrarre il popolo romano con fedeltà scrupolosa. Dunque, dice lo Schuchardt, i sonetti politici e tutti gli altri non provennero immediatamente dal poeta, bensì dal popolo stesso. Se non ci fosse stato fuori di lui chi pensava e parlava a quel modo, il Belli non avrebbe mai scritto quel che scrisse. «Quando il frutto proibito della satira politica gli pende vicino sul capo, egli, senza scomodarsi, lo coglie; ma se per coglierlo dovesse arrampicarsi, lo lascerebbe stare,» È chiaro che l’illustre filologo, ragionando così non ha tenuto nel debito conto l’elemento soggettivo che è in tutti i sonetti del Belli, e che in alcuni dei politici, come ho accennato qui sopra, passa perfino il segno e rompe un poco l’armonia tra il pensiero e la forma. Del resto, che il Belli da giovine fosse un nemico ardente del